Giuseppe Dessì
Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
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Si levò la giacca nera di taglio antiquato, che di solito portava in paese, indossò un’ampia e comoda cacciatora di velluto a coste, si infilò nella cintura le due pistole da sella, mise a tracolla il fucile, tese ad Angelo la borsa da caccia e tutti e due, vecchio e bambino, uscirono dallo studio.
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Eppure ci passavano i pesanti carri a buoi carichi di legna, di covoni o di uva appena colta, al tempo della vendemmia, e c’erano sui muri delle case di mattoni crudi i segni dei mozzi con il nero della morchia.
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Eppure ci passavano i pesanti carri a buoi carichi di legna, di covoni o di uva appena colta, al tempo della vendemmia, e c’erano sui muri delle case di mattoni crudi i segni dei mozzi con il nero della morchia.
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Intanto i suoi magri e bruni piedi s’erano liberati delle logore ciabatte casalinghe e cercavano gli zoccoletti di lucida tela cerata.
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Aveva gli occhi neri, ancora giovani, furbi e scintillanti.