Giuseppe Dessì
Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
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La lunga penna d’oca svettava dalla spalla destra dell’avvocato e Angelo cercava di sincronizzare il tremolio del suo bianchissimo pennacchio con lo stridere della punta sulla carta ruvida e giallastra che non riusciva a vedere
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Era lui che si occupava del bestiame di proprietà di Fulgheri, un branco di circa trecento vacche brade, che in quel tempo stavano pascolando in montagna in attesa di scendere a svernare in pianura. Era il capo dei vaccari, e ogni settimana veniva in paese per fare la sua relazione al proprietario e portar su le provviste: pane, pasta, acquavite e tabacco.
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Dai rumori, Fulgheri capì che Gerolamo stava attaccando il cavallo, e lo sentiva fischiettare il motivo del ballo tondo.
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Aveva riconosciuto il lungo passo del mandriano Gerolamo Sanna, un uomo alto quasi due metri, magro, allampanato, che portava stivali speronati e un buffo berrettino nero in cima alla testa. Il vaccaro aveva due baffetti, bianchi come il pennacchio della penna d’oca e le sopracciglia pure candide. Anche i capelli erano bianchi e leggeri, mentre il viso era rosso e lustro come la cotenna di un porchetto arrostito.
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Lo vide trascinar fuori del porticato il leggero calesse, fare uscir dalla stalla Zurito dopo avergli messo la capezza, spazzolare il suo lucido mantello, togliergli dalla coda e dalla criniera qualche filo di paglia, poi gettargli addosso i finimenti guerniti di feltro giallo e di borchie di ottone, costringerlo a mettersi giusto tra le stanghe sottili e ricurve del calesse.