Giuseppe Dessì
Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
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Qualche volta, per le feste grandi, gli regalava addirittura uno scudo d’argento.
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L’avvocato soffiò stizzosamente scoprendo i denti lunghi e gialli come quelli di Zurito: «Taci tu!» disse.
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La nuova legge riconosceva il diritto di proprietà della terra a chiunque avesse chiuso un appezzamento con siepe o muro, e così chi poteva spendere era diventato proprietario, mentre i pastori, che non avevano altro che un branco affamato, s’erano dovuti indebitare per pagare il prezzo esoso dei pascoli imposto dai nuovi padroni. Fulgheri s’era subito messo dalla parte dei pastori e aveva scritto e parlato autorevolmente – benché senza successo – contro la legge che sovvertiva un ordine durato nell’isola da secoli. Fino allora nelle comunità la terra era stata distribuita ogni anno, secondo le necessità di ognuno e gratuitamente, a contadini e pastori. Avveniva in tal modo una rotazione annuale tra semina e pascolo.
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Colpì la fantasia popolare il fatto che i due poveretti, conosciuti come onesti padri di famiglia, fossero stati giustiziati per un reato commesso circa quarant’anni prima, cioè al momento in cui, nel 1820, la famigerata legge delle chiudende era entrata in vigore. Ma i moti popolari contro la legge erano durati, per tutto quel tempo, con varie pause e riprese, tenendo vivi la paura e l’odio dei nuovi proprietari, che il Re non si voleva alienare.
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Ai lati del carro, quattro tamburini con ghette bianche e cheppì facevano rullare incessantemente i tamburi, così che tutti, anche nelle ultime case del rione Sant’Antonio, sapessero quello che stava succedendo.