Giacinto Satta
Sassari, Tipografia della Nuova Sardegna
Il tesoro degli angioni
Giacinto Satta
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Il vento di greco che non aveva cessato di soffiare in tutto il giorno e pareva raddoppiato di violenza verso il tramonto, aveva accumulato una fitta nuvolaglia nera su tutte le cime scaglionate nel lembo occidentale della Nurra, come baluardi a difenderla dall’assalto del mare.
E sulle onde, bianche di spuma, s’addensava sempre più opaca la nebbia che, a poca distanza dalla costa, si confondeva coll’acqua e col cielo fosco e basso, d’un grigio sporco uniforme, appena colorato in quel momento dalla luce sanguigna diffusa dal tramonto.
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La domanda era rivolta al compagno, un vecchio doganiere dai baffi ed i capelli brizzolati e la faccia riarsa ed arrossata dal sole e dal vento, che seduto presso di lui si ostinava vanamente a tirare qualche boccata di fumo da una sua vecchia pipa annerita dall’uso.
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Il giovane guardò, aguzzò gli occhi e finì per distinguere, sebbene a stento e confusamente, sotto il promontorio, un punto nero che a primo aspetto chiunque avrebbe scambiato per uno scoglio.
Ma, fissandolo con più attenzione, non tardò ad avvedersi che quel punto nero, quasi indistinto nella nebbia, si muoveva.
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Di fronte siede a terra un giovane, un pastore, come le sue vesti lo dimostrano: la vampa illumina vivamente il suo viso abbronzato, dall’espressione energica, dagli occhi scuri largamente aperti, dal mento quadrato che s’adombra d’una prima lanuggine crespa e nera.
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Lo sconosciuto mostra di avere una trentina d’anni al più: è basso e tarchiato, il volto è di carnagione scura, invaso in gran parte da una barba fitta, corta, nerissima, con un naso adunco ed occhi rilucenti.