Giacinto Satta
Sassari, Tipografia della Nuova Sardegna
Il tesoro degli angioni
Giacinto Satta
p. 126
Al di là degli alberi del giardino – che si levavano quasi a velare ogni urtante volgarità della eccessiva vicinanza - l’occhio non incontrava che una linea di boscaglia dal verde cupo e più oltre, molto lontano, come perdute nel ceruleo dell’orizzonte, alcune vette ineguali.
pp. 126-127
Fuori della porticina del giardino [...]: più oltre, dietro una ripa erbosa, coronata dagli avanzi d’un muro di cinta, costrutto rozzamente a secco ed in gran parte diroccato, si stendeva un breve tratto di pianura erbosa e poi subito la macchia: dapprima a cespugli radi e bassi, poi sempre più alta e più fitta: irta qua e là di povere piante scarmigliate di pero selvatico e di sughero dal verde come polveroso, una meschina vegetazione venuta su a stento in quelle altitudini continuamente battute dalla furia dei venti.
p. 127
Ma era appena al crocicchio, che riconobbe lo scalpitare d’un cavallo lanciato al galoppo e subito prima ch’essa avesse tempo di scansarsi, di tirarsi da un lato, vide il cavallo e, curvo su l’arcione, tenendo sul davanti il lungo archibugio, il cavaliere avvolto nel suo nero cappotto d’orbace e il cappuccio calato sugli occhi.
p. 127
Un viso giovanile, pallido, con due occhi nerissimi e brillanti, una barba nera nascente, e nell’insieme un’espressione seria, severa, dura anzi, l’espressione comune ai pastori della regione, e che, al suo primo giungere in Sardegna, l’aveva sgradevolmente colpita, sebbene avesse finito per abituarvisi.
p. 130
La parte più notevole del costume consiste in un grazioso cappuccio rosso che incornicia in modo incantevole le grosse ciocche di capelli biondi ricadenti in disordine attorno al volto.