Stefano Sampol Gandolfo
Roma, Tip. G. Ciotola
L'eremita di Ripaglia ossia l'antipapa Amedeo VIII di Savoia
Stefano Sampol Gandolfo
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La popolazione, che nei primi mesi si recava curiosa alla loro Chiesa per contemplare le loro figure, oggi non si commuove più alla loro vista. Donde questo mutamento? Questa indifferenza notevole da che proviene? Gli Eremiti non sono sempre i medesimi sette?
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E tutto avrebbe continuato a procedere colla massima soddisfazione, se non fosse stata la cattiva condotta di un suo vescovo, Giovanni di Savoia, il quale, […] ebbe un giorno la mala inspirazione di cedere i suoi diritti sul governo temporale della città al Duca di Savoia Carlo III, suo parente e intimo. Il quale nel 1518 […] tentò colla forza d’impadronirsi della pacifica città.
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La Casa di Savoia ha di molte peccata sulla coscienza, e quella del tradimento del suo vescovo Giovanni non è delle più lievi certamente, delle quali le chiederà rigoroso conto il Signore. Perché se oggi la già cattolica e devotissima città di Ginevra è denominata la Roma del Protestantesimo, ad un iniquo vescovo, a un membro di quella Reale Prosapia si deve. Si deve alla guerra civile, che vi accese ed al sangue cittadino, che vi fece spargere l'eccellentissimo e reverendissimo suo Monsignor Vescovo D. Giovanni dei Conti di Savoia!
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La città di Ginevra nella suindicata circostanza del tradimento del vescovo e della prepotenza di Carlo III, si divise naturalmente in due fazioni accanite; chiamata una degli Eydgnotsz, che significava confederati e che era composta dei più zelanti sostenitori delle franchigie antiche, e denominata l’altra dei Mamalucchi, ossia schiavi, che comprendeva i ribelli, i rivoluzionari, i seguaci e gli amici dell’ambizioso e prepotente Duca Carlo III di Savoia.
Aspra e lunga fu la lotta fra fratelli e fratelli. Vili furono le arti tutte, che adoperava il Duca di Savoia per guadagnarsi gli animi dei Ginevrini ricalcitranti al suo dominio. Tanto vili, che anziché riconoscerlo per loro sovrano, amarono meglio, in un eccesso di disperazione, di unirsi e di allearsi ai due cantoni svizzeri di Berna e di Friburgo, che li ricevettero per loro amici e come fratelli.
Il Consiglio generale dal popolo di Ginevra, visto che non vi era altra via da salvare la sua indipendenza e da mettere un termine alle sanguinose discordie, accettò solennemente quell’alleanza il 23 febbraio del 1526, malgrado l’opposizione del novello vescovo monsignor Pietro della Baome.
[…] È quest’alleanza coi cantoni di Berna e di Friburgo, cagionata dalle usurpazioni e dai tradimenti del Principe Carlo III della Casa di Savoia, che rovinò intieramente, che distrusse intieramente la religione cattolica nella bella città di Ginevra.
[…] Entrarono le soldatesche alleate in Ginevra, ma vi si abbandonarono alle più infami violenze non solo nelle terre dell’odiato Savoiardo, ma anche in mezzo alla cattolica popolazione della città.
[…] Esasperati da tante ribalderie e da tanti insulti, gli animi dei ginevrini e le loro cattoliche coscienze reagirono finalmente, sicché presero le armi e scesero in campo contro i loro pretesi liberatori.
Durò ben quattro anni la fierissima lotta entro le mura stesse della città di Ginevra. Finché il Gran Consiglio, che a dir vero avea sempre sostenuto i cattolici, dovette per necessità di pace e per evitare ogni ulteriore spargimento di sangue, proclamare l’infausto decreto, che era libero a tutti di abbracciare e di professare pubblicamente la religione che più loro piacesse.
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Egrave; vero che il nostro documento appartiene anch’esso agli archivi segreti della Casa di Savoia, e che poté gettarvi gli occhi un infaticabile studioso, quando esautorata e cacciata pur essa dal trono di Torino in Sardegna dalla rivoluzione francese, dovette abbandonare fuggendo la sua reggia, i suoi stati e i suoi segreti archivii.