Enrico Costa
Cagliari, Centro di Studi Filologici Sardi / Cuec, 2007
La bella di Cabras
Enrico Costa
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Per quelle vie larghe, grigie, tortuose, senza lastrico né ciottoli – sotto ad un cielo splendido e ad un sole cocente – si vedono non di rado donne brutte; [...] Queste mosche bianche – siamo giusti – potrebbero in gran parte dar ragione alla tradizione, e provare, che la razza delle cabrarisse abbia realmente degenerato, forse per le troppe visite che ha ricevuto il paese dai cittadini oristanesi, là guidati dalla buona stella che guidò in Oriente i tre re magi.
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Altra prova del trasformismo di razza si ha in questo: che gli occhi azzurri, posseduti in origine dalle cabrarisse, vanno ogni giorno diminuendo, col diventar nerissimi, come quelli delle altre donne del Campidano.
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Al fonte battesimale aveva ricevuto il nome di Maria Rosa, poiché in Sardegna i doppi nomi sono quasi una necessità.
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Disse, che, siccome l'anno prima (per la legge Casati del 59) eransi cambiati i nomi delle diverse classi di Grammatica, Rettorica e Filosofia, in quelli recenti di Ginnasio e Liceo, allo stesso modo, prima del 50, le classi venivano chiamate Formazioni, Rudimenti, Generi, Sintassi, Umanità e Retorica.
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Persino il parroco, in un giorno di questua per le anime del purgatorio, entrato in casa dei genitori di Rosa, osò dire al babbo che ognuno doveva vivere nella condizione in cui era nato, e che certi ghiribizzi non potevano che offendere Dio nostro Signore e i compaesani nostro prossimo. Il povero zio Antonio Maria fece di tutto per scusarsi col parroco, ma la moglie quel giorno si unì al reverendo, in modo che il babbo n'ebbe la peggio, tormentato dalle prediche di due sottane di diverso colore.