Romolo Riccardo Lecis
Roma, Maglione e Strini, 1923
La razza. Frammento di recentissima storia
Romolo Riccardo Lecis
p. 207
S’udì distinta, ad un punto, la voce robusta ed alta del pastore: "Crabiòlu!... Crabiòlu!... Mascu ’e ghia, non tòrra’… noo!...".
p. 209
Si chiama Margiàni, quel bel cane da pastore. Margiàni vuol dire volpe, volpino, volpaccia – che è pur sempre la stessa cosa. Ma, ad essere esatti, per volpino il termine aggraziato al diminutivo cambia, e torna Margianèddu. Quello dunque era margiàni.
p. 211
E chiara e forte la voce del padrone: "Sss!... Sss!... Tòcca là… No accorras prus’ a coili, noo… Zò! Zò! Tòrra, Moredda. Tòrra! E tu’, ògu trulu, nèh…nèh…Accòsta, là! Zò! Zò!" E così via.
(Sss!... Sss!... Andiamo, elà… Non t’aduni ancora all’ovile, non ancora t’aduni!... Elà! Elà! Qua, Morettina, qua! E tu, occhio guercio, e tu! Accosta! Elà! Elà!).
pp. 236-237
Myriam passò allora con la padrona a visitare la piccola cappella di famiglia, ch’era ben la prima cosa a vedersi. Attraversarono parte della loggia, salirono per una scaletta. La divota massaia disse, mentre precedeva la sua ospite, con accento commosso:
"È umile la mia cappella, ma di più caro non v’è per me nulla, in questa casa, tante son le grazie che ho sempre impetrate ed ottenute dalla Madonna! La mia Madonna! M’ha salvato Antoneddu da morte certa, in quest’inverno ultimo che ci mise addosso il freddo a tutti, ci mise… Un inverno gelato senza una giornata di buono! E lui che pareva non dovesse più levarsi da letto, Madonna Santa! Ma m’ha fatto la grazia, m’ha fatto, Nostra Signora, ed ora per me quella nicchia è come il luogo dei miracoli!".
Giunte, la buona donna spinse una porticina che si aprì senza rumore. Entrarono. Era un sacello pieno di santità, di devozione, raccolto: una stanzetta quasi triangolare, un po’ bassa, con le volte imbiancate di fresco, illuminata per una piccola finestra velata di tendine gialle. Appena s’entrava si scorgeva, di fronte, un gran crocifisso d’avorio, ai lati – discosti – due quadri, e sotto ciascun d’essi una lampada a olio d’uliva. Anche vi stava, d’accanto, un vaso di fiori selvatici: fiori gialli, rossi, bianchi commisti, ma inodori.
Doveva apparire, certo, piena di un fascino insolito, a Myriam, in quell’ora di silenzio, la vita di quella casa di campagna segregata dal mondo… Era divenuta pensosa, lei. E forse rifletteva che è anche bella una vita semplice in un’umile dimora dove si sente veramente profondo l’amore supremo di Dio, la poesia della carità e del bene: dove ogni nobile sentimento umano nella pura solitudine si rafforza e si sublima maggiormente, e tutta la fatica è spesa per una famigliuola da educare al sobrio lavoro dei campi, alla più sana pratica del dovere, all’illibatezza dei costumi.
Questo, ed altro, forse, di religiosamente austero ed alto passava per lo spirito di Myriam, mentre ella genufletteva la propria anima, divotamente, innanzi alla Croce…
Quando uscirono da quella cappella le donne parevano come commosse da una voce di carità divina.
p. 244
In un brindisi Ersini aveva detto, senza peraltro rivelare la propria qualità di indigeno: "Io brindo al valore del soldato sardo che difende accanitamente il fronte esterno!".