Costumi
Cagliari, Tipografia del Corriere di Sardegna, 1875
Violetta del Goceano. Romanzo contemporaneo
Marcello Cossu
pp. 69-70
Le donnette del villaggio – bisogna pur dirlo – sono incoerenti a se stesse! - Figuratevi, mentre elle trascurano i precetti più sagrossanti dell'igiene, quali sono la pulitezza del corpo e delle vesti, sono poi intolleranti della scompostezza ed incuria nel vestire degli altri. A loro vanno tanto a sangue quegli azzimati ganimedi che vengono di città, i quali spendono una mattinata a pettinarsi, allindarsi e cincinnarsi alla toeletta, e che puzzano un miglio lontano di... di profumo. Costoro per esse sono i compiti cittadini – i giovani di gran merito, di tutta considerazione e rispetto. In quella vece si fanno le beffa grosse di quegli altri, che, o per modestia, o per abituale trascuranza non pongono tutta quella noiosa briga nell'abbigliarsi. E molto più inveiscono contro quelli che indossano abiti che non sieno nuovi, o dimessi assai; a costoro sogliono chiamare: Signorini spiantati!
pp. 70-71
Avevo, come già dissì il cappello alla Lobbia, sormontato da una splendida, piuma di pavone che mi rammentava il secolo di Don Rodrigo; i pantaloni all'inglese, color mandorla fresca tagliati proprio alla gamba – il panciotto della stessa stoffa e colore – la cacciatora di velluto, color verde bottiglia e gli stivali a tromba della più schietta pelle di Russia. Dopo aver passati in rassegna tutti questi abiti e fattane la debita pulizia, tolsi dal carniero un bel petto a merletti, un paio di polsi ed un colletto alla Bismark con una elegante crovattina del colore di questo stesso nome. I colletti e i polsini alla Bismark inallora erano in gran voga. Bismark, egli è quel politicone germanico di cui si è tanto parlato e si parla; il gran Cancelliere dell'impero di Guglielmo di Prussia – l'Archimandrita della massoneria tedesca.... amico non troppo di noi... Egli è tal uomo, il di cui nome passerà alla posterità anche per bocca della moda!
pp. 75-77
Per vero dire le case dei nostri villaggi, eccetto alcuna di qualche ricco, sono oltre a ogni credere anguste, misere e indecenti – e più che civili abitazioni, si possono considerare capanne di pastori. Esse vengono d'ordinario costrutte di pietre rozze, e quali la natura le produce – cementate con del fango, spesso senza l'intonaco della calce né di fuori, né di dentro. In altri luoghi anche più disgraziati, e ove la natura fu avara di pietre, a queste si sostituiscono dei mattoni di terra non cotta. Le case costruite siffattamente ti danno una giusta immagine delle capannelle, che gl'ingegnosi castori si fanno da sé e coll'aiuto della lor coda. Il tetto poi, sia delle une che delle altre è fatto a canniccio, o a stuoie – raramente a palchetto. - Qui la bruma inesorabile fa sentire i suoi rigori, e il sollione vibra spietatamente i suoi raggi infuocati! Nè meno censurabile è l'ossatura delle case villareccie; oltrecchè fa a pugni coll'estetica e il buon gusto, torna incomoda e mal sana per chi vi abita. Figuratevi, queste case son quasi tutte a pian terreno, non han finestre abbastanza ampie per poter entrare conveniente quantità d'aria e di luce, e vi si entra per una porticella, che spesso obbliga l'ospite a chinare il capo, se non vuol avere la fronte baciata non molto carezzevolmente dall'architrave. La entro ti si para dinnanzi una vasta sala, con un pavimento ineguale, scabro e colle pareti affumicate e nere da smembrare l'inferno. Questa tien lungo di cucina; ha il focolare, ove nelle notti invernali la superstiziosa nonna racconta le sue leggende ai buoni villici del vicinato, che le s'assidono d'intorno e che le pendono dal labbro, spesso tornando a casa col cuore spaventato, per aver udito della Versiera, della Tregenda e del Diavolo che parla. Ordinariamente poi in questa sala stanno alla rinfusa uomini, bestie ed attrezzi per l'agricoltura; né vi manca il centimolo col suo asinello, che dopo la brava legge sul macinato, è costretto girare continuamente, anche per buon tratto della notte, e fino a che l'assidua massaia non venga sorpresa dal dio Sonno fra i suoi patern noster e i tira tira.. [...] Questo, per quanto riguarda il casamento del povero senza badare ai mobili che son fatti dall'accetta del legnaiuolo, e al sudiciume, che regna da per tutto.
p. 76
Questa tien lungo di cucina; ha il focolare, ove nelle notti invernali la superstiziosa nonna racconta le sue leggende ai buoni villici del vicinato, che le s'assidono d'intorno e che le pendono dal labbro, spesso tornando a casa col cuore spaventato, per aver udito della Versiera, della Tregenda e del Diavolo che parla.
pp. 77-78
Altro da natare nelle case di campagna sono il cortiletto e l'orticello. Il primo che si ha o di davanti o di dietro di esse, sempre però a scapito della luce e dell'aria per le medesime; perocchè sia solito tenebro stipato di legna d'ardere e d'attrezzi per l'agricoltura. Annesso poi al cortiletto è l'orticello. Gli orti sogliono essere coltivati dagli stessi coloni, che ne ritraggono la verdura pel condimento della loro minestra. In questi orti è da notare una gara non molto onesta da parte dei proprietari di essi; qui si fa nientemeno alla ruffa ruffa reciprocamente, per modo, che il vero padrone, mai gusta le primizie del suo orto; spesso derivano da ciò risse, dispetti, e persino schioppettate! Sono ancora da considerare nel villaggio, per quel che trattasi del caseggiato, le case dei ricchi, e tra esse la Canonica, che primeggia fra tutte. Queste sono ordinariamente d'un piano superiore e restano più polite e decenti – la Canonica poi è la reggia del villaggio. Il povero cittadino che raramente varca quella soglia, se mai vi capita, rimane stordito a vedere quelle pareti imbiancate, quei mobili luccicanti e ben in assetto – non scambierebbe tutto ciò per le ricchezze d'un Creso! Il curato del mio villaggio – un prete assai di buon'umore.