Religiosità
Cagliari, Centro di Studi Filologici Sardi / Cuec, 2007
La bella di Cabras
Enrico Costa
p. 76
Uno degli agenti segreti, a cui la signora Giovannica si era raccomandata per la delicata missione, era stato il Rettore di Cabras; il quale, per il suo ministero, poteva più di ogni altro conoscere i bisogni e la moralità delle sue parrocchiane. Il Rettore aveva già posto gli occhi sopra Rosa; e dopo la disgrazia avvenuta alla famiglia, pensò di ritornare all'attacco presso zio Antonio Maria, ormai accasciato sotto tanti infortuni. Bisogna qui dichiarare, a scanso di equivoci, che il parroco agiva in tutta coscienza, e che, più che a fare un piacere alla moglie del consigliere, aveva in animo di alleggerire le sventure di zio Antonio Maria, uomo onesto e laborioso che gli voleva togliere dai fastidi e dalla miseria. Il parroco si presentò di nuovo a zio Antonio Maria, e gli ricordò l'antica proposta. Gli fece considerare che i tempi si facevano sempre più tristi; che a Cabras altri contadini, più ricchi di lui, non avevano esitato a collocare come serve le proprie figlie, e che infine si era presentata per Rosa una vera fortuna da afferrare per i capelli, trattandosi di entrare al servizio di una delle più oneste, ricche e rispettabili famiglie d'Oristano.
pp. 100-101
Gli oristanesi sono il popolo più religioso e bigotto dell'isola; e Lamarmora nel 1858 notò che nessun'altra città della Sardegna, del Piemonte, della Liguria e della Savoia era provveduta di chiese e di preti come Oristano, in rapporto alla sua popolazione. “I forestieri – scrisse egli – non vedono per le vie che preti, seminaristi, monaci e sacrestane colle zimarre rosse”. Lo Spano – ch'era un canonico – scrisse in proposito che i preti ad Oristano diminuivano, perché la mancanza delle pingui prebende allontanava i giovani dal sacerdozio. “Non vi era allora altra risorsa – egli aggiunse – o prete, o frate: se n'era fatto un mestiere!”. L'Angius – ch'era un frate – nel 1845 contò ad Oristano 68 preti, 171 frati e 25 monache: in totale 264 religiosi. Via, non c'era poi tanto male! Quattro religiosi e mezzo per ogni cento abitanti! Il Valery – ch'era prete – nota che il clero diede ad Oristano impulso alla civiltà, perché fin dal principio del secolo XVII i preti scominicavano gli incendiari degli ulivi, esempio che, per eccitamento degli Stamenti, fu più tardi limitato da tutti i vescovi dell'isola. Il Maltzan (a proposito di Vescovi) osserva che l'Arcivescovado di Oristano è quello che, in tutta l'isola, ha fatto la più grande caduta, essendo un tempo il più ricco degli Stati sardi. Godeva – dice egli – un reddito annuo di 150 mila scudi, mentre oggi, come gli altri, è ridotto alla miseria di seimila lire! L'Angius ci fa notare che gli oristanesi sono sinceramente religiosi e che segnano a dito, esecrandoli, tutti coloro che si mostrano poco cristiani. Però – scriveva egli nel 1845 – non sono pochi i superstiziosi che credono nelle malie, che pagano bene le cartelle ed i sacchetti che contengono pretese virtù contro gli iettatori, le streghe, i fattucchieri, e persino contro le palle ed i pugnali. Biasima inoltre la credenza nelle così dette animas decolladas, cioè a dire degli impiccati, pei quali si fecero un tempo pratiche nefande, novene di mezzanotte sotto i patiboli, con riti stranissimi e con più strane orazioni. Inutile dire che oggi non vi ha neppur l'ombra di simili superstizioni, degne del medioevo.
p. 106
Donna Clara era anch'essa una buonissima signora, ma aveva due debolezze: era bigotta fino a stancare gli altari, e appassionata della propria nobiltà, che pretendeva risalisse non so a qual passato remoto, forse ai tempi in cui i popoli di Tharros avevano abbandonato la famosa città fenicia per venire ad abitare sulle sponde del Tirso. p. 106Ma Donna Clara non gliela dava vinta. Come la Donna Fabia del poeta milanese Porta, ella spingeva la tenerezza del blasone, fino a rendere grazie a Dio di averla fatta nascere nel ceto distinto della prima nobiltà; senza accorgersi che insultava Gesù, figlio di un falegname.
pp. 106-107
Alle cinque si recava in cattedrale per dir messa; alle cinque e mezza, dalla serva si faceva portare il caffè in sagrestia; alle sette tornava a casa a far colazione; alle nove andava in Coro; alle dieci a casa per recitare sul breviario qualche ora canonica omessa in Coro; a mezzogiorno pranzo; poi due ore di sonnetto; di nuovo in Coro verso le quattro; a passeggio dalle sei alle sette; dalle otto alle nove ricreazione in casa con esercizio archeologici; alle nove cena, e finalmente alle dieci a letto.
p. 107
Donna Mariangiola, la secondogenita, aveva le stesse debolezze della madre in fatto di religione: sapeva a memoria la storia di tutti i santi e sante, tutte le vigilie comandate, tutte le feste, i tridui, le ottave, le novene, le quarantore; insomma tutta l'aritmetica religiosa cattolica. Lo stesso canonico poteva da lei prender lezione.