Religiosità
Cagliari, Tipografia del Corriere di Sardegna, 1875
Violetta del Goceano. Romanzo contemporaneo
Marcello Cossu
p. 257
Il villano superstizioso si guarda bene di passare qua nelle ore tante della notte, e se imperiosa circostanza ve là spiga, si segna prima con croci e fila dritto recitandovi requiem... V'è taluno che afferma aver veduto entro il recinto, sulla mezzanotte le ombre dei morti trasformate in fiammelle, e menarvi danze, inviando gemiti e sospiri! Quale sventura avere i morti dentro paese! - qual insulto all'Igiene!
p. 259
Ma ove son le tombe? Chiedeva io all'amico. >> << Eccole rispondeva Riccardo. >> << Vedi tu quei pilieri? - orbene, al disotto riposano i nostri defunti.... La carità del beccamorto ammucchio quelle pietre, acciò il cadavere squarciandosi non venisse su in frantumi!>> << Orrore! - Come si sentirà straziato il cuore d'una madre nell'abbandonar là il suo pargoletto? - ove non gli potrà coltivare una viola dal mesto pensiero.... E l'orfanella, ove si poserà a piangere i suoi genitori? - Ove collocherà la sua mesta ghirlanda? In un angolo sorgeva una cappella, pericolante, senza tetto. Era l'ossario! - Si vedevano là stinchi e fomeri alla rinfusa, e due serre di teschi a destra e a mancina. - Quei teschi sorridevano... L'uomo nasce ne pianto, vive nel pianto, muore nel pianto... finalmente sorride! - Sorride di sé stesso, polvere ed ombra.
p. 261
Intanto a casa trovammo imbandita la cena, che sta volta riuscì malinconica. - E' costume di quei paesi imbandire la cena pei morti! - Non vi mancava perciò l'ovo e la fava, i cibi prelibati dei morti! Consumato il gramo cibo andai a dormire.......................... Ero in un vasto campo gremito di croci e frastagliato d'allee di cipressi e di tombe.
pp. 262-263
Qua io mi sveglio. - I miei occhi furono vivamente colpiti da una luce che li abbagliava; vedo la porta che mi stava di fronte spalancata, e con mio stupore un gigantesco spettro che s'avanzava avvolto in funereo lenzuolo e con un cereo in mano. - Sulle prime dubitai, non fosse un'allucinazione; ma tosto mi convinsi della realtà; inallora tremai... Lo spettro incedeva a passo lento... avea gli occhi aperti e vitrei, la bocca semi aperta da cui esalava un monotono respiro, simile a quello del moribondo; egli mormorava parole che aveano un tal senso: << Ora fatale è questa... ora tremenda... il destino l'ha segnata nei suoi irrevocabili decreti! - Il mio onore vilipeso s'ha da riparare... [...] << Il delitto è consumato... le mie mani son tinte di sangue... Orrore! È una tinta che non si cancellerà più!.. - Gemette con ansia, e lentamente com'era comparso, disparve.
Cagliari, Centro di Studi Filologici Sardi / Cuec, 2007
La bella di Cabras
Enrico Costa
p. 14
Persino il parroco, in un giorno di questua per le anime del purgatorio, entrato in casa dei genitori di Rosa, osò dire al babbo che ognuno doveva vivere nella condizione in cui era nato, e che certi ghiribizzi non potevano che offendere Dio nostro Signore e i compaesani nostro prossimo. Il povero zio Antonio Maria fece di tutto per scusarsi col parroco, ma la moglie quel giorno si unì al reverendo, in modo che il babbo n'ebbe la peggio, tormentato dalle prediche di due sottane di diverso colore.