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Costumi

Lanusei, Tipografia Sociale, 1885

Ritedda di Baricau

Marcello Cossu

pp. 24-25
Avveniva quindi che in tutte queste regioni si mantenevano vivi e immacolati i prischi costumi: mancava l'istruzione, erano prive di commercio; epperò vi si viveva rozzi, ignoranti e miseri. I soli preti avevano il compito di raddolcire quegli animi rudi; i preti che hanno avuto sempre sul popolo sardo un'autorità rispettata, e potevano mirabilmente adoperarsi a qualche innovazione. Ma i preti furono in ogni tempo, amanti dell'oscurantismo, nemici dell'esclusivo loro benessere.

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pp. 25-26
I preti ebbero sempre modo di condur l'acqua al loro molino, - Si ha per certo che un Parroco d'Ilbono, or son molt'anni, da povero che era, divenne in breve ricchissimo; ed ecco in che modo: Un giorno, un pastore portò in dono al Parroco un bel pezzo di muflone in cui casualmente, il prete trovò una palla di puro argento. Di che meravigliatosi, chiamò il pastore per averne spiegazione; e questi gli fece sapere che egli era solito far le palle pel il suo archibugio con certe pietruzze, che trovava alle falde di una montagna, poco lungi da quel di Talana. Allora il Parroco si fece condurre in quella località, dove potè constatare l'esistenza di un filone di argento purissimo. In seguito, messosi il Parroco in relazione con un capitano di nave, che spesso faceva rotta per Tortolì, per acquisto di vino, con mille precauzioni e con tutta segretezza, acciò eludere la vigilanza del regio Governo, fece di sfroso, trasportare in Continente una gran quantità del minerale, che fu giudicato e venduto per puro argento. Siffattamente il Parroco d'Ilbono divenne ricco, a segno di avere d'argento, persino i vasi per gli uffici più umili. Ed erano tempi in cui si riputava ricco, chi avesse posseduto in contanti un centinaio di scudi! - In progresso di tempo, certo per franamenti accaduti nella montagna, si perdettero affatto le tracce di quella importantissima miniera, che invano ancora si ricerca.

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pp. 26-27
Per tornare a Daniele, o meglio al costume che vestiva, egli aveva in capo il frigo berretto; sulla candida camicia, il giubboncino di velluto azzurro, coi petti accavalciati, le maniche strette, aperte e abbottonate con campanelle d'argento a scudetto;i braconcelli increspati sottilmente attorno alla vita, scendenti pei fianchi, allargandosi a ventaglio, e sotto di essi i calzoni di tela larghissimi, candidi e senza ripieghe. Aveva alla vita una bella cintura di cuoio color giallo, bigherata a varie tinte, e sul dorso, la tradizionale mastruca di pelle daino, c'era una grazia a vedere: con quelle due nere liste lungo la schiena e tutt'intorno cosparsa di chiazze, digradanti dal color fulvo acceso, al biondo pallido al bianco immacolato.

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p. 30
Lanusei spiccava in nero dalle roscide tinte del tramonto. Era l'ora in cui le forosette sogliono recarsi alla fontana, per fare la provvista dell'acqua. Ed era un lieto spettacolo, vedere quelle vispe fanciulla ire e redire per la via mena a Marcusei, quali con le anfore ricolme, ritte sul capo, quali sotto l'ascella, andar rapide, come voli di passerine, cinguettando del più o del meno e dando di frequente in scrosci di gioconde risa.

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p. 35
Daniele amava anch'egli Ritedda, e il suo amore era inspirato al sentimento di una santa unione; se non che, Daniele aveva da superare un grande ostacolo; egli era ricco, apparteneva ad un cospicuo casato, e i parenti gli avrebbero mossa implacabile guerra, se avesse osato chiedere in sposa una povera, e quel che peggio, nel caso di Ritedda, una fanciulla senza nome.... una spuria!

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