Francesco Fancello "Brundu"
Roma, Mondadori, 1945
Il diavolo fra i pastori
Francesco Fancello "Brundu"
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Non più giovane ma ancora avvenente, ella continuava a guardarlo senza abbassare gli occhi, di un grigio uguale, privo privo di riflessi.
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E il parroco, allibito, levò al cielo le pupille tremolanti, mostrando il bianco della sclerotica.
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Quand’ecco apparire una personcina nera, inconfondibile, e il cuore battere a tumulto. L’orto dei Boille si affacciava sulla valle dal ciglio di un alto dirupo e i gesti della donna si stagliavano netti sull’azzurro.
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La stanza senza lume era ischiarata dalla oscillante fiamma del camino, alimentata da un legno resinoso il cui profumo piccante si spandeva come incenso. La donna si volge appena, ponendosi il dito sulle labbra per raccomandare silenzio, e torna a curvarsi sulla caldaia, immergendovi più e più volte un lungo spillone. Silano nell’accostarsi vide che ella andava punzecchiando delle gocce d’olio galleggianti sull’acqua. La fiamma del camino in quell’istante mugghiò divampando nuove Lingue di fuoco; un senso di disagio si insinuava nell’animo dell’uomo. Allora la maliarda mormorò con voce quasi roca: “Le gocce sono come specchi. Guarda: vedi in ogni goccia i suoi occhi? Ogni goccia un anno di vita.
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Quello che chiamavano il frate. Sicuro, il frate. Un vecchio pazzoide, sudicio, completamente sordo con occhi cisposi e bruciati. Misantropo, non usciva mai dal suo cubicolo, non usciva neppure per prendere una boccata d’aria, ed erano perfino obbligati a portargli la gavetta dentro la tana, perché non morisse di fame.