Arte
Cagliari, Tipografia del Corriere di Sardegna, 1875
Elodia e la repubblica sassarese. Romanzo storico
Marcello Cossu
p. 79
Guantino stette lungo tempo visitando quei luoghi santi, che tuttora presentano i vestigi di quel Grande che fondò la nostra Religione. Vi ammirò il tempio di Salomone, il S. Sepolcro, vi salì il Calvario, il Carmelo, il Libano; e sempre infervorato nell'esercizio di pie opere, nelle preghiere per la salute dell'anima di sua consorte – per cui sopportava le infinite molestie del lungo pellgrinaggio.
p. 90
Finalmente apre i suoi grandi occhi azzurri, li volge mestamente sull'effige di una Santa e prega. Qui - pari allo stormir della froda pel leggiero alito di vento, - sentesi il frascio di vesti donnesche e di passi che si avvicinano - e tosto ecco comparire una graziosa donzella dai capelli neri lievemente ondati, dagli occhi dolcissimi ed espressivi, però pallida nel volto e assai mesta. Ella era vestita all'orientale e teneva sollevato sul capo il suo velo bianco bordato d'argento formandole così gentil ghirlanda.
pp. 144-145
Aveva ella avuto, nella trascorsa notte, una assai tetra visione in cui se l'era appresentata la madre avvolta in un sepolcrale lenzuolo e tutta lagrimosa. La pietosa figlia pensò che il sogno alludesse alla poca cura che ella poneva nel visitare le ossa della povera madre per cui si proponeva in quel giorno compiere il filial dovere, recandosi in quella villa ove appunto stavano raccolte le ceneri di Susanna. Infatti in uno spianato del delizioso possesso, s'ergeva una cappella ombreggiata da salici piangenti e da cipressi; dentro di essa vi era un marmoreo mausoleo – la tomba della madre di Elodia. La mesta fanciulla qui giunta s'inginocchiò e fece una lunga preghiera, poi si levò, baciò teneramente sul monumento e uscì seguita dalla fida compagna. Ella non tardò a provare un soavissimo ristoro alle sue pene; quella preghiera or ora innalzata al trono di Dio per la pace di sua madre, si riversava sul di lei cuore in tanta calma e lenimento; il suo spirito a un tratto diventò tranquillo, gaio, il suo viso si compose a letizia e sorrise. O quanta dolcezza apporta nei cuori la prece dei morti!
p. 164
Lo sconosciuto cavaliere s'intratteneva riscontrando un affresco che era dipinto delle quattro pareti della sala. – Esso veniva a rappresentare la memoranda battaglia di Meloria. - Quel dipinto era opera di Cimabue rinomato non tanto pe' suoi lavori, quanto per esser stato Maestro al famoso Giotto. - Forse questi, cinque anni dopo la data del nostro racconto, fu incaricato a ritrarre nella medesima sala quell'altra memoranda battaglia che i Genovesi vinsero sopra i Veneziani – Curzola.
p. 182
Le fitte rughe, del volto e i bianchi capelli, la dichiarano più che no inoltrata negli anni – il cavo profondo degli occhi e delle guancie – il pallore mortale fanno fede delle crudeli angustie patite dalla misera. Eppure in lei passò un tempo felice, ma lontano - assai lontano! - Nata da sardi dinasti, ella figurò al mondo – e fu persino acclamata regina! - Però ahi sventura per lei! Somma sventura.... Così superbo titolo non le doveva fruttare che sciagure e miserie… Essa fu spogliata dall'ingrato consorte d'ogni suo dritto di sovranità e chiusa per anni ed anni nel Castello del Goceano – e poi di qua tolta e sagrificata alle sordide brame di Michele Zanche per finalmente quì, nell'orribile carcere in cui vediamo, morire nell'abbandono e nella disperazione! Ella era l'infelice Adelasia di Torres.