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Marcello Cossu

Marcello Cossu

Cagliari, Tipografia del Corriere di Sardegna, 1875

Elodia e la repubblica sassarese. Romanzo storico

Marcello Cossu

pp. 27-29
Orsù, fratelli, corriamo da Locusta;essa che sa leggere nel futuro con quella perizia che tutti sappiamo, saprà pur dirne di quale sciagura oggi siamo minacciati. - Si, si, da Locusta, da Locusta - esclamarono tutti in coro, - corriamo da Lei, e detto fatto una numerosa folla di uomini e di donne s'avviava verso una casuccia che sorgeva in fondo del sobborgo; ivi giunta gridò a una voce: - Locusta! Locusta! Locusta era la Maliarda di Salvenero rinomata inallora in que'dintorni per il sortilegio che esercitava con tant'incantesimi e diavolerie che facevano pur troppo strabiliare i poveri gonzi di tutta quella contrada. La sua casuccia, la quale ben si sarebbe chiamata spelonca, era incespata di macchie di rovo, di virgulti e piante selvatiche ove scorrevano tranquillamente nidiate di rospi e di altri rettili schifosi; e avea attiguo un orticello coltivato a erbe medicinali. La maliarda alla circostanza, si serviva di queste piante e di que' rospi per comporre le sue malie, i sonniferi, le sue incantazioni e che so io; ond'è dal tetto della casa partiva sempre un fumo azzurrastro e pizzicante. Effetto di quelle distillazioni. Entrando poi in essa faceva orrore il vedere le paretti nere nere e quà e là disposti orribili trofei d'ossa umane, di pipistrelli, gufi e civette; nè vi mancava la magica Scopa unta con spugna di porco, con cui la maliarda poteva intraprendere viaggi lontanissimi e volare con la celerità del pensiero. [...] La maliarda o che avesse fretta di sbarazzarsi della folla o che proprio parlasse da senno fatto sta ella, vòlto uno sguardo all'ecclisse pronunciò con voce angosciosa questo funesto presagio: - La festa tramonterà tinta di sangue! E ciò detto sparì. Né la folla chiese più altro – si sbandò, ma ne viso di tutti stava impressa la mestizia.

colori, costumi, flora e fauna, geografia, lingua, religiosità

p. 29
Ella era così brutta nel viso che l'avresti ben detta fidanzata di Balzebù.

leggende, modi di dire

pp. 29-30
Ormai i festeggianti, cacciato ogni timore correvano alle proprie case o sotto il rezzo d'un albero a prender posto al desco; lo spianato era divenuto deserto di gente; dentro chiesa qualche donnicciula superstiziosa, che non finiva mai di render grazie al Santo a cui attribuiva il prodigio d'avere il sole ricuperatala luce - insomma la festa sembrava sopirsi nella piazzetta in cui si celebrava.

flora e fauna, lingua, religiosità

p. 30
Trattasi di cosa non volgare... Già – poiché colei non mi sembrò della consueta genia... epperò vi richiederà maggior industria che non per le altre quantunque io pensi che le donne tutte valgano la stessa cosa, cioè - un ora di trastullo.... e nulla più.

lingua

p. 31
Questa razza che per aver eredato dagli atavi un blasone, un tarlato diploma e nient'altro spesso, non vuol essere confusa col popolo... Ma che – non vi son diplomo o blasoni che tengano, messeri rodomonti, ci vuol ben altro a tenersi su ai dì nostri... ci vuole la forza; è la forza che prevale a tutto. Orsù dunque, uomini nobilitata da pergamene, se vi sentite forti provatevi a resistermi; ecco io vi sfido, io vi getterò il fango sul viso, io vi cuoprirò d'obbrobrio; vedrò quanto valete e di che forza sieno questi vostri titoli famosi.

istruzione, lingua

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