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Flora e fauna

Cagliari, Tipografia del Corriere di Sardegna, 1875

Elodia e la repubblica sassarese. Romanzo storico

Marcello Cossu

pp. 21-22
A fianco di questo veniva pomposamente galoppando altro leardo palafreno guidato dalle mani d'una fanciulla che si stava assisa in assai gentil maniera. Ella aveva gli occhi azzurri del colore del cielo a cui spesso volgeva per una irresistibile tendenza, i capelli biondi e lucidi come oro fuso, il viso bianchissimo d'una trasparente bianchezza, avvivato dal roseo delle sue guance, dall'ostro delle sue labbra, e illuminato da un'arcana luce che dava alla vergine l'espressione d'un angelo. Ella era abbigliata del sardo costume - e quella vivacità di colori contribuiva a porre vagamente in mostra le sue incomparabili attrattive. Aveva sul capo un abbigliamento di fino pizzo bianco d'onde traspariva l'immenso volume de' suoi capelli raccolti in trecce – e le scendea in larghe pieghe sulle spalle; al collo due filze di brillantissime perle, al busto il farsetto di brocato e il corsettino di velluto celeste lavorato a fiorami d'argento – compiva la ricca veste un gonnellino scarlato guernito da passamani in seta e da galloni in oro.

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pp. 25-26
Per la campagna si odono i buoi a muggire, i cavalli a nitrire, i corvi a gracchiare, e un susurro di voci d'animali impauriti che si cacciavano ne' loro covacci. Ma non basta – il sole ormai vedersi tutto nero, sembra una palla di bronzo sospesa nell'aria senza luce ne calore; il cielo è foschissimo come notte tempestosa; vi vede qualche stella che manda un bagliore sanguigno e rende più terribile la scena; la terra è immersa in profonda oscurità, un penoso incubo gravita su tutti gli animi, avresti detto fosse il finimondo e che or ora incominciasse lo sfrascelo universale. Succedeva un ecclisse. A que' tempi d'ignoranza epperò di superstizione, gli ecclissi, le comete e tutti i fenomeni della natura, venivano considerati come furieri di calamità.

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pp. 27-29
Orsù, fratelli, corriamo da Locusta;essa che sa leggere nel futuro con quella perizia che tutti sappiamo, saprà pur dirne di quale sciagura oggi siamo minacciati. - Si, si, da Locusta, da Locusta - esclamarono tutti in coro, - corriamo da Lei, e detto fatto una numerosa folla di uomini e di donne s'avviava verso una casuccia che sorgeva in fondo del sobborgo; ivi giunta gridò a una voce: - Locusta! Locusta! Locusta era la Maliarda di Salvenero rinomata inallora in que'dintorni per il sortilegio che esercitava con tant'incantesimi e diavolerie che facevano pur troppo strabiliare i poveri gonzi di tutta quella contrada. La sua casuccia, la quale ben si sarebbe chiamata spelonca, era incespata di macchie di rovo, di virgulti e piante selvatiche ove scorrevano tranquillamente nidiate di rospi e di altri rettili schifosi; e avea attiguo un orticello coltivato a erbe medicinali. La maliarda alla circostanza, si serviva di queste piante e di que' rospi per comporre le sue malie, i sonniferi, le sue incantazioni e che so io; ond'è dal tetto della casa partiva sempre un fumo azzurrastro e pizzicante. Effetto di quelle distillazioni. Entrando poi in essa faceva orrore il vedere le paretti nere nere e quà e là disposti orribili trofei d'ossa umane, di pipistrelli, gufi e civette; nè vi mancava la magica Scopa unta con spugna di porco, con cui la maliarda poteva intraprendere viaggi lontanissimi e volare con la celerità del pensiero. [...] La maliarda o che avesse fretta di sbarazzarsi della folla o che proprio parlasse da senno fatto sta ella, vòlto uno sguardo all'ecclisse pronunciò con voce angosciosa questo funesto presagio: - La festa tramonterà tinta di sangue! E ciò detto sparì. Né la folla chiese più altro – si sbandò, ma ne viso di tutti stava impressa la mestizia.

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pp. 29-30
Ormai i festeggianti, cacciato ogni timore correvano alle proprie case o sotto il rezzo d'un albero a prender posto al desco; lo spianato era divenuto deserto di gente; dentro chiesa qualche donnicciula superstiziosa, che non finiva mai di render grazie al Santo a cui attribuiva il prodigio d'avere il sole ricuperatala luce - insomma la festa sembrava sopirsi nella piazzetta in cui si celebrava.

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p. 36
Intanto dalla strada maestra del sobborgo uscirono sei graziosi corsieri sottili e vispi come capriuoli. Ciascuno di essi era tenuto pel freno da un fantino vestito di bianco, col berrettino rosso in capo.

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