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I.S.B.E.S.

Catalogo storico ragionato

Prefazione

Introduzione

Indice dei nomi

Schede degli autori

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Istituto bibliografico editoriale sardo
Introduzione
Scrittori sardi dal IV al XX secolo

Alla ricerca della identità storica e culturale del popolo sardo

L’esigenza di raccogliere in una summa, il più possibile unitaria ed organica, le espressioni della produzione scritta degli intellettuali sardi, scrittori in senso lato, che siano alla vita del popolo sardo organicamente legati e si pongano, quindi, come riflesso della sua vicenda nel tempo, è una esigenza di coscienza politica e culturale che percorre, senza trovare fino ad oggi appagamento, tutta la storia moderna della Sardegna.
Non che tentativi non siano stati, di quando in quando, compiuti. Ma essi sono rimasti tali, abbozzati, interrotti, a testimoniare insieme la validità della esigenza e la difficoltà dell’opera. In generale, essi coincidono temporalmente coi periodi di preparazione culturale dei moti che tendono, a partire dal periodo giudicale, alla conquista o alla riconquista di una qualche forma di autonomia e di autogoverno. La tendenza è, come noto, tipica di tutti i popoli che, in base alla specificità della propria storia nazionale, seminazionale, regionale, si sforzano di affermare, anche nelle istituzioni politiche, la loro peculiare identità, quale che siano il grado e le forme di autonomia corrispondenti alle particolari condizioni di ciascuno.
In Sardegna, in un ambiente culturale relativamente elementare e primitivo, ma non esente da influssi della cultura mediterranea ed europea, tale tendenza informa di sé le raccolte che, specie dopo l’introduzione della stampa, si van compiendo sia di opere manoscritte che di libri e di documenti a stampa, relativi alla vita politica, economica, sociale dell’isola e alle sue tradizioni, presso i numerosi conventi, vescovadi, abbazie e presso le corti signorili, alcune delle quali, come quella del marchesato di Oristano fino alle soglie del 1500, continuavano, in modo più o meno diretto, la tradizione delle corti giudicali.
Più avanti, interessanti raccolte di autori sardi compaiono nelle biblioteche private di notai, legali, medici, magistrati, bibliofili e si cominciano a stendere i primi elenchi di bibliografia sarda.
Occorre, però, notare che se l’ispirazione di tipo vetero-nazionale, coll’immagine del rennu (regno), permea le antiche raccolte, formatesi nei luoghi religiosi, all’ombra delle rovine e delle memorie giudicali (e sarà in questo spirito che potrà aver vita il clamoroso episodio delle false Carte d’Arborea) man mano che, coi secoli, si svolge il processo di cristallizzazione e di disgregazione degli istituti e delle forme di vita giudicali, anche la coscienza dei valori culturali autonomi, sotto la spinta delle irruzioni dall’esterno, appare attenuata e almeno in parte obliterata da una sorta di cosmopolitismo e di eclettismo di impronta europeo-mediterranea.
La selezione organica delle produzioni intellettuali, in base alla loro natura più o meno autoctona, al loro valore “nazionale” lascia il posto al criterio semplicemente tematico: si raccoglie e si scheda o si ristampa tutto quello che si scrive sulla Sardegna. Il recupero di valori autoctoni, nella produzione intellettuale, avverrà con molta fatica, incertezze e in un decorso di tempo che non è ancora terminato.
Pertanto, quando in un periodo di forte ripresa del moto autonomistico, alla fine del ‘700, si manifesta un primo tentativo, quello di Domenico Simon, di sottolineare la continuità e il valore della tradizione intellettuale e letteraria della Sardegna, con una raccolta di Scriptores rerum sardoarum, non si andrà ad una raccolta di scrittori sardi ma di scritti sulla Sardegna, pur intesi ad illuminarne natura, istituti politici e sociali, peculiari costumi e tradizioni.
Il primo e, purtroppo, unico volume della raccolta, stampato a Torino negli anni 1785-’88, comprenderà, così, insieme con la Sardiniae brevis historia di Sigismondo Arquer e col Condaghe della Chiesa di Saccargia, anche la Sardinia antiqua del Cluverius e le Antiquitates italicae medii aevi ad Sardiniam spectantes, di L. A. Muratori, opere erudite e di grande valore sulla storia antica e medioevale dell’Isola, ma del tutto esterno rispetto alla cultura autoctona sarda.
Dalla fine del ‘700 in poi lo sforzo di mettere in evidenza e di ridurre ad unità le espressioni della produzione intellettuale e letteraria sarda si manifestano con maggiore frequenza, anche in relazione allo spirito “nazionalitario” del primo romanticismo e si depurano del più grosso cosmopolitismo. Si moltiplicano gli elenchi bio-bibliografici, di Pietro Martini e del canonico Giovanni Spano, le schede, specie quelle interessanti la letteratura, de Gli uomini illustri della Sardegna di Pasquale Tola e numerosi altri, più o meno organici, tentativi. Al culmine di questo sforzo si pongono anche le opere di Giovanni Siotto Pintor sulla storia civile e letteraria dei popoli di Sardegna.
Si succedono, altresì, in concomitanza col fiorire delle società storiche e culturali e delle prime riviste di cultura (dopo il fallito tentativo dell’Azuni di dar vita ad una Biblioteca Sarda), sforzi interessanti di dare vita ad iniziative editoriali per la stampa e la ristampa di autori sardi, con ideologia più o meno accentuatamente “sarda” o “sardista” avanti lettera.
Spicca, tra questi sforzi e tentativi, quello operato sul finire del secolo scorso a Sassari, da Giuseppe Dessì, di pubblicare in una Biblioteca sarda, come si fece per un certo tempo, opere antiche e moderne di autori sardi.
In tempi più vicini a noi, a metà degli anni ’30, il Ciasca e i suoi collaboratori raccolgono in diversi volumi, tutte le voci attinenti a temi sardi, reperibili attraverso lo spoglio degli schedari delle principali biblioteche pubbliche e private sarde. Ne risulta un lavoro di indubbia utilità come repertorio bibliografico, ma il taglio tutto esteriore ed esterno, dell’opera, volto ad affastellare nomi e titoli su temi, i più disparati, di interesse sardo, ne inficia, alla base, ogni valore di ricerca organica, ai fini qui indicati. Simile giudizio deve esprimersi sulla Storia letteraria di Sardegna di Francesco Alziator, dove la ricerca dell’immagine poetica prevale su quella del processo intellettuale e culturale complessivo.
Sono invece da menzionare, pur nei limiti di un sardismo che tende al folklorico, il programma editoriale e le collane di autori sardi curate da Raimondo Carta Raspi, in un periodo in cui tali iniziative venivano ad assumere significato di opposizione e di resistenza alla pressione nazionalistica e dannunziana del fascismo, e le più recenti ricerche bibliografiche di Raimondo Bonu.
Nel periodo immediatamente successivo alla liberazione, che in Sardegna è stato di riscossa popolare e sardista e di preparazione dell’ordinamento autonomistico, nessuna iniziativa di rilievo sorge su questo terreno, per quanto proprio in quegli anni si gettino le basi di un fecondo lavoro di ripresa storiografica, politica, artistica di temi legati alle origini ed alle tradizioni dell’autonomia.
L’esigenza di riandare alle radici dell’autonomia sarda, di riportarne alla luce le motivazioni storiche ed ideali più profonde, quindi di ricostruire il filo della sua genuina tradizione culturale e politica, si riaffaccia e finisce con l’imporsi, al centro della vita sarda, insieme con l’affiorare e con il manifestarsi della crisi politico-morale delle istituzioni dell’autonomia, nel decennio ‘60-‘70.
È del marzo 1963 l’interrogazione di alcuni consiglieri regionali (Giagu, Peralda, Masia, G. Sotgiu, Zucca, P. Sotgiu) per chiedere che siano riportati alla conoscenza di un più vasto pubblico «i testi fondamentali della questione sarda, attraverso la pubblicazione delle opere dei maggiori scrittori sardi». Si rileva che «far conoscere il patrimonio culturale [...] della comunità regionale serve ad irrobustire un corretto senso di autonomia, collegandola alla tradizione e ai fatti concreti della Sardegna».
La sollecitazione del Consiglio veniva accolta dall’Assessore alla Rinascita e dalla Giunta e si giungeva ad una delibera, in base alla quale è stata autorizzata una soluzione iniziale e parziale, compatibile cioè con la limitatezza dei mezzi e con la difficoltà di selezione dei testi, consistente in una quindicina di volumi per 5-6.000 pagine, comprendenti testi o parte di testi o documenti, selezionati da una commissione di esperti. In verità, prima di pervenire a questa decisione, erano state esaminate due soluzioni diverse. Consisteva la prima in una collana “aperta” e «comprendente un numero indefinito di volumi» da pubblicare man mano che venissero individuati e predisposti; la seconda in una collana “chiusa” comprendente «saggi amplissimi» della «letteratura della Questione Sarda». Come è noto, la seconda soluzione è stata quella prescelta dalla Giunta e ad essa si è dato l’avvio, con la collana di volumi che è in corso di pubblicazione. È prevalso, così, un criterio limitativo dell’originaria esigenza di pubblicare una o più serie organiche di scrittori sardi, come strumenti indispensabili di una moderna coscienza autonomistica. Con ciò anche il concetto di “Questione Sarda” veniva, in qualche modo a restringersi all’idea che di essa si ebbe alla fine del ‘700 e, più ancora, nell’ultimo secolo a partire dalla Unità d’Italia.
Sembra, dunque, giunto il momento mentre la prima collana di volumi sulla “Questione Sarda” sta per essere completata e si colloca come punto fermo per la conoscenza dei termini essenziali in cui la questione oggi si pone, di riprendere il discorso aperto nel 1963 e di promuovere la pubblicazione in moderne edizioni critiche a larga diffusione popolare scientificamente corrette, di una summa organica di scrittori sardi tale, per ampiezza, da abbracciare l’intera epoca storica di formazione di quella entità che, nella sua peculiarità e specificità, è chiamata “popolo sardo”. Lo spirito, il taglio, la ideologia complessiva di tali edizioni dovrebbero partecipare sia del tipo di «storia per intellettuali» concepita da Gramsci, sia dei princìpi della moderna antropologia sociale e culturale di orientamento democratico, volta a ricercare i valori interni, autoctoni; sia, infine, della concreta esperienza che, in tanti paesi nuovi, si va compiendo, di ricostruzione ex post del filo unitario, autonomo, di formazione storica della comunità data, attraverso i messaggi autoctoni dei propri intellettuali, scrittori, poeti, legislatori, ecc.
Le opere possono essere, naturalmente, o di singoli autori, o di corpi collettivi che si esprimono in forme scritte, scelte nel vasto ambito della documentaristica sarda.
Fatte le necessarie differenze, tenuto conto cioè che, per la Sardegna, si tratta di dare un sostrato politico-culturale profondo alla dimensione di una regione a statuto autonomo speciale (collocata nel quadro di una più vasta costituzione statuale a fondamento regionalista, quella appunto della Repubblica italiana); si tratta di comporre, in una organica serie temporale, la produzione intellettuale cui ha dato vita il popolo sardo, nella sua specificità etnica, storica, culturale, durante i secoli della sua storia, a partire da un periodo che, per molte ragioni che si sottintendono, dovrebbe identificarsi con quella in cui avvenne la disgregazione dell’impero romano e vennero formandosi i primi regni barbarici in Europa e sulle rive del Mediterraneo.
Si tratta di liberare dalla polvere del tempo o, comunque, dalla dispersione e di restituire in veste moderna, connessi entro una linea di continuità temporale che a noi li colleghi, opere e scritti di Lucifero di Cagliari e del citato Domenico Simon, di Sigismondo Arquer e di Vincenzo Bacallar, di Tuveri e dell’Asproni, di Giovan Francesco Fara e dell’Azuni, di G. M. Angioy, di Gramsci, di Lussu e di tanti altri scelti entro l’elenco allegato col quale non si vuol dare altro che una sommaria approssimazione od esemplificazione.
Attraverso la voce dei suoi intellettuali verrà delimitandosi la storia unitaria di un popolo che in alcun modo, nonostante le sue traversie, potrà definirsi un popolo “vinto”. Emergerà, invece, riflessa nel lavoro intellettuale di tante generazioni, la storia aspra e drammatica di un popolo che ha conosciuto vittorie e sconfitte, slanci progressivi e ripiegamenti, ma che ha combattuto e che combatte per affermare la propria autonomia. Meno spesso apparirà anche il suo isolamento nel quadro delle correnti ideali e culturali mediterranee ed europee, che attraversano la Sardegna e vi destano echi e riflessi profondi, sì che la sua storia è storia mediterranea ed europea, che partecipa del travaglio e dei nutrimenti culturali di quest’ultima, ne ripete, a modo suo, le stagioni sociali e il processo di formazione delle classi, lungi da qualunque fissità e cristallizzazione astoriche.
Il deposito culturale che scaturisce da questa vicenda secolare della Sardegna, dai contatti con l’Italia, con la Spagna, con la Francia, col mondo arabo, è rilevante e di valore universale. Eredi di questo patrimonio sono le nuove generazioni che sentono la necessità di giungere alle radici più profonde e di cogliere le dimensioni politiche e morali più generali dell’autonomia regionale.
Dopo quanto si è accennato relativamente al taglio della summa che si propone, non farà meraviglia se in essa non v’è traccia di scrittori, pur degni, come il Lamarmora, il Gemelli, il Bresciani, il citato Cluverio e dell’opera di tanti viaggiatori e scopritori più o meno intelligenti o colti e che persino si siano esclusi autori moderni del valore del Besta, del Solmi, del Niceforo, per citare solo alcuni che, in Sardegna e su temi sardi, talvolta centrali, coscienziosamente e utilmente lavorano. Essi non possono, infatti, in alcun modo essere annoverati come intellettuali e scrittori del popolo sardo, espressioni dei suoi valori autoctoni, in una parola della sua cultura.
Se qualche eccezione è fatta, per le Lettere di Gregorio Magno, per le iscrizioni dell’Alto Medioevo o per il Gazano, si troverà che esse rispondono all’esigenza di far luce in secoli oscuri e di consentire una lettura continua e moderna di questa storia intellettuale.
Con eguali intendimenti, sarà ripresa e valorizzata, attraverso le riedizioni, anche la produzione scritta popolare, che in un certo senso rispecchia il volto più genuino della cultura sarda, non politicamente finalizzata né asservita a schemi letterari, in quanto autentica e diretta interprete dello spirito del popolo. Del vasto patrimonio isolano di prosa e di poesia laica e religiosa, ora disunito in fogli sparsi o raccolto in pubblicazioni pressoché sconosciute, verranno rimessi in luce e riproposti in forma antologica i componimenti più belli e più significativi, così come per la produzione teatrale, epistolare e documentaria in genere, si cercherà di dare un panorama quanto più esauriente possibile, nei limiti di una scelta che la stessa tradizione scritta propone.
La summa dovrebbe constare di opere integrali ed antologiche, in edizione critica, con apparato di note, ortografia ridotta in forma moderna, traduzioni a fronte, nonché introduzioni di una certa ampiezza che collochino ogni opera e la sua genesi nel proprio tempo.
Ciò richiede, ovviamente, una mobilitazione straordinaria, oltre che finanziaria, di energie culturali e un lasso di tempo non inferiore al decennio per una serie di circa 120 volumi che potrebbero eventualmente essere accompagnata da una seconda serie di altre opere.
Si tratterebbe, infine, di una impresa unica nel suo genere, in Italia, e forse in Europa, cioè della ricostruzione, attraverso la riedizione, in serie organica, dei suoi scrittori, della complessa civiltà di un popolo piccolo, ma che ha un posto distinto e caratteristico nella storia regionale d’Europa e del Mediterraneo. Questo esempio di «recupero di beni culturali» potrebbe, se il metodo risulterà giusto e l’impresa feconda, indurre consimili iniziative in altre regioni italiane, sollevando problemi nuovi in materia di tutela e valorizzazione del patrimonio bibliografico delle singole regioni.
Soprattutto, ci sembra però cosa importante contribuire a riportare in luce e valorizzare appieno un patrimonio di una vita e di una storia regionali, vive e feconde pur nei loro limiti territoriali, di quell’humus, cioè, in cui solo può gettare radici profonde e attingere slancio progressivo l’Italia democratica e regionalista uscita dalla Resistenza.

 
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