Arte
Cagliari, Tipografia del Corriere di Sardegna, 1875
Violetta del Goceano. Romanzo contemporaneo
Marcello Cossu
p. 256
Vedi in appresso i paesani composti a mestizia, accorrer in parrocchia, fra cui le vedovette col vostro peplo nero tirato sugli occhi e con lunghi rosari in mano. Il vespro si finì con un'oblazione del popolo per l'anima dei defunti! - e com'è costume di quei paesi che pagano ai preti a mille doppi il lavoro – poi s'andò all'ossario a cantarvi il responsorio. - Il cimitero era disgraziatamente entro popolato; io ve lo presenterò tal qual era. Da un dei fianchi della parrocchia parte una cinta di muro qua e là scalcinato, la quale insinuandosi nel careggiato, volge lunghesso in tondo e va a raggiungere l'edifizio da cui prende origine. A mezzo la cinta, verso tramontana, v'è un porticato chiusa da un cancello di legno; desso viene sormontato da una rozza scultura, eseguita proprio colla piccozza, in cui il modesto fabbro avea animo scolpire la testa del morto. Al di sotto, sull'architrave si leggevano queste parole:<< Hodie mihi cras tibi.
pp. 257-258
Gli antichi, è vero, costumavano seppellire i loro morti accanto a sè, ma certo per averli presenti alla mente, e per farvi la guardia, usando tumularli ornati di gemme, e racchiudendo nel monumento, monete e vasellamenti preziosi. Le necropoli delle vetuste nostre città attestano il fatto – Gli Egizi, i Cartaginesi e i Romani che qua ebbero lunga dimora praticavano a questo modo coi morti. Ora però che le nostre cure per essi son più che distrette e seppelliamoli qual la natura ne li richiede, è affatto incoerente lo averli vicini. - Oltracciò gli antichi badavano di ben calcinare i cadaveri prima del seppellimento, e li racchiudevano in cenere che costudivano in preziosissime urne.
Cagliari, Centro di Studi Filologici Sardi / Cuec, 2007
La bella di Cabras
Enrico Costa
p. 19
Ozieri il suo stupido Lepireddu, che si recava a Sassari per salutare la statua d'Azuni;[...] il sassarese Pepparca, l'inventore delle satiriche mascherate; il cieco Vincenzo Bianco di Bono, che scioglie a memoria qualunque problema difficile; il zoppo poeta di Borutta, Pirisi Pirino, che compone e canta, stampa e vende per tutta l'isola le sue ingegnose poesie.
p. 26
Nell'interno della chiesa, centinaia di bandiere formanti i gruppi più capricciosi su per gli archi, intorno ai pilastri, sugli altari, dappertutto.
p. 27
Dal corpo del fabbricato spuntano superbamente la gran cupola dell'altare maggiore e il cocuzzolo piramidale del campanile, l'una e l'altro placcati con mattoni verniciati a diversi colori, che splendono al sole come la corazza a squame di un grosso muggine di stagno.[...] Quest'uomo, che pare solitario in mezzo alla folla, ha un compagno in alto, il campanaro; il quale non fa che picchiare a ripicchiare sulla campana; tentando in unione col suo mesto collega, di concertare un terzetto allegro, tratto dai tre regni della natura; bronzo, legno e pelle d'asino. [...] L'occhio spazia sopra uno sterminato orizzonte, rotto qua e là dal ciuffo di qualche palma isolata, o dalle acque stagnanti che dormono ad occidente del paese. Intorno al campo, qua e là, carri con botti di vino nero, o di vernaccia, ai quali ricorrono i festaiuoli per innaffiare abbondantemente gli aranci e i mandarini di Milis, di cui si fa un consumo grandissimo.