Arte
Cagliari, Tipografia del Corriere di Sardegna, 1875
Violetta del Goceano. Romanzo contemporaneo
Marcello Cossu
p. 36
E' il caso di ripetere ciò che scriveva un giorno l'Annibal Caro in una sua lettera a messer Bernardo Spina. - Non vi do di signore – diceva egli – perchè quando io scrivo a certi uomini da dovero soglio sempre parlare più volentieri ad essi medesimi, che a certe lor terze persone in astratto; e se non siete di quelli da dovero voi, non voglia. Scriverò dunque a voi proprio e non alla S.V. la quale io non conosco, e non mi ricordo mai averla veduta.
p. 43
Penso, a piangere incessantemente e inconsolabilmente... novella Artemisia, sulle ceneri del suo Mausolo! - O che perla di donna! Sfido cento per uno, che non si trova l'eguale al mondo a volerla cercare con la lanterna! - Però, amico, tu non mi potresti niegar che costei non soffra per lo meno la monomania!
pp. 54-55
Giornata seconda – Ascensione al Castello di Burgos.>> […] << Che farci inallora, se non si ha di meglio; - in chiesa coi santi e in taverna coi ghiottoni. - Ad ogni modo l'ascesa a quella rocca mi tornerà sommamente gradita. Su di quell'altura, io potrò respirare l'aria saluberrima della campagna; potrò contemplare il vasto estupendo panorama del vallone del Goceano; arrogi la solennità del luogo che mi richiamerà alla mente un turbinio di vetuste memorie, dei tempi tristissimi del Medio-evo, nei quali appunto fu inalzata la rocca. Infatti il Castello di Burgos, o del Goceano che si voglia chiamare, figurò assai nella storia medioevale dell'Isola. Era una delle sarde rocche più importanti, e veniva riputata inespugnabile; però anche a lei toccò la stessa sorte che si ebbero le molte altre di Sardegna; fu smantellata e abbandonata al ricovero delle fiere.... Ma fu sorte meritata.
p. 57
Si sa, proseguì Paolo >> sogliono chiamarlo: don Blas d'Aragona!. << Infatti il Castello di Burgos fu posseduto un tempo dagli Aragonesi; anzi furono gli ultimi ad abbandonarlo.
p. 59
Noi avevamo traversata la pianura e comincievamo a mettere nel bosco. Questo era foltissimo e rigoglioso per secolari quercie, pei giganteschi alberi d'elci, faggi e roveri, e per le piante di corbezzolo e di ginepro. In alcuni luoghi riusciva inacessibile al passo umano, così era stipato di macchie di rovo, di sterpi e d'arbusti selvatichi. Le ombre della notte cupamente calando, lo rendevano ognora aspro e forte, come la selva selvaggia di Dante.