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VERONICA FADDA


Roma, Editrice Prof. P. Maglione Succ. Loeschere C., 1933
Maritana
Veronica Fadda
La cieca scende dal letto, s’affaccia alla finestra, chiama: Maritana! Maritana!...
Nessuno risponde. La sua voce portata via dal vento viene infranta contro i macigni schistosi mentre un melanconico canto s’alza a riprese dalla spiaggia sabbiosa.
Rimane alcuni istanti al davanzale facendo roteare le sue pupille spente nella cornice delle palpebre lacrimanti, richiude, si dirige verso il focolare dove le brage coperte di cenere mandano un confortante tepore, sta lì immobile, le mani intrecciate come chi colpito si rassegna.
- Maritana, figlia mia, dove sei andata? Chi ti ha insegnata la via del male? Quale anima cattiva ti ha insegnata la via del male? Che cattiva, che cattiva anima!
Il canto sale scintillante come ala di colombo nell’ascesa dell’azzurro, tenue e delicato come il profumo del fiore morente. Ella s’appoggia con una mano sul banchetto che tiene alla destra e nella oscurità della sua stanza e della sua cecità, nella sua angoscia incalzante, protende il busto, ricade su sé stessa come un cencio abbandonato.
Maritana, Maritana! Te lo dicevo che il demonio si suole vestire di gemme e canta quelle canzoni e suona quegli strumenti che sconvolgono il sangue.
Maritana, Maritana, io ti mostravo il fiore succhiato dalla vespa, quando i miei occhi si fermavano sulle tue guance di pomo – rosato!
 
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