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ENRICO COSTA


I Pezzenti
Enrico Costa
 dramma lirico di Fulvio Fulgonio

musica di Luigi Canepa

L'opera I Pezzenti  è il secondo lavoro di Luigi Canepa. Venne rappresentata la prima volta nel settembre del 1874 al Teatro La Scala, dove ottenne il battesimo insieme al Salvator Rosa del Gomes - due opere nuove per le quali si apriva in quella circostanza il Massimo Teatro di Milano.

Se l'opera del Canepa, mutilata orribilmente di parecchi duetti, arie e recitativi, per la incapacità di alcuni artisti can-tanti, non destò in quel Teatro il fanatismo del pubblico, ebbe però un esito assai lusinghiero, perché vi fu rappresentata per dieci sere consecutive, ed il maestro fu chiamato più di venti volte all'onore del proscenio. Pi-ù tardi lo spartito di Canepa, ritoccato in qualche scena, fu rappresentato con pieno successo in tre Teatri di Russia (Taganrog - Pultawa - e Karkoff) - poi nel 1876 al Politeama di Genova - nel 1877 nel Comunale di Cagliari - e presentemente nel nostro Civico - dappertutto con esito brillantissimo.

Dal David Rizio ai Pezzenti il Canepa ha fatto un gran passo - e troviamo diffatti in quest'ultimo spartito dei pezzi elaborati con somma maestria, tanto per la parte melodica, quanto per la condotta e per lo strumentale, dove di leggieri notasi lo scienziato, e dove si riconosce in Canepa il degno allievo di Mercadante - cioè a dire, del maestro forse più profondo in contrappunto, e più rigoroso in fatto di pezzi concertati e di strumentale. In tutto lo spartito del Canepa riscontransi bellezze pellegrine, un periodare franco, ricchezza di melodie originali, e sopratutto una profonda filosofia nel trattare lo strumentale a seconda delle diverse situazioni e dei diversi affetti che si svolgono nel dramma.

Da questi pregi non comuni, dobbiamo arguire che l'opera del Canepa è per certo destinata a vivere - a vivere a lungo, come lo sono tutti gli spartiti scritti con coscienza, che non si reggono unicamente sui colpi di scena e sulle situazioni a sensation. Noi abbiamo fidanza che col Riccardo III, terza opera, già quasi pronta per la rappresentazione, il Canepa assicurerà il suo avvenire, occupando quel posto che i suoi lunghi ed accurati studi, e il suo genio gli dan quasi diritto di occupare. - Avanti, dunque: coraggio e perseveranza. Alla critica accerba si risponda sempre collo scrivere - sempre scrivere - null'altro che scrivere! - È la migliore delle risposte.

Il Canepa dev'essere d'altronde lieto di un fatto raro, per non dire unico, nella storia dei maestri di musica - i due suoi primi lavori, David Rizio e Pezzenti, furono stampati in elegante edizione, col ritratto dell'autore, dalla rispettabile Casa di Francesco Lucca che ne faceva acquisto, e cominciano a fare il giro d'Italia e dell'Estero. Ciò torna ad onore del Canepa, inquantocché la prima opera (e in molti anche la seconda) di maestri che divennero sommi nell'arte, non è andata mai avanti, ne fu mai stampata.

Ed ora mi si lasci esternare la mia opinione sui Pezzenti - opinione pura e semplice, che io trascrivo, non solo senza pretensione d'imporla ad altri, ma colla lusinga che nessuno la voglia dividere meco. Il non essere esperto conoscitore di musica, non è buona ragione per cui uno debba astenersi dall'emettere il proprio parere. Qualunque lavoro esposto sulle scene, sia di prosa che di musica, deve dare ad ognuno il diritto di dire ad alta voce ciò che ne pensa, se non per altro motivo, almeno per quello che ha pagato il suo biglietto d'ingresso. Seduto sulla scranna di un Teatro qualunque; dinanzi ad uno spettacolo nuovo a cui il pubblico è invitato con apposito manifesto; tra i pochi scienziati e maestri dell'arte che gridano: bene, bello, sublime, ed i molti profani che gridano: non mi piace, io sto per questi ultimi.  È una debolezza come un'altra! - Nella politica odierna sentirei il bisogno di pensarci un po' sopra, ma in arte non mi perito ad asserire che un lavoro letterario od artistico sulle scene deve sempre ricevere il battesimo dal popolo sovrano. Quando il popolo sovrano, dopo un corso di rappresentazioni, si ostina a non volerlo riconoscere, il lavoro teatrale muore, o va a dormire negli scaffali di una biblioteca per servire di testo a gli scienziati, o per aspettare una rivoluzione nello spirito di nuove generazioni.

Sento qui il bisogno di dichiarare, che questa digressione non ha nulla a che fare coi Pezzenti del Canepa, ma l'ho fatta unicamente per essere scusato, se costretto a farla da critico. Tra me e Canepa, oltre una tenacissima amicizia, vi ha un vincolo di sangue (non si spaventi il Procuratore del Re!) epperò, sarò rigoroso - cioè a dire, dirò francamente il mio parere; tanto più che il Canepa è ormai abituato a sopportare le mie... chiamiamole stranezze, via! - è sempre meglio cercare il vocabolo più dolce, quando serve per proprio uso!

Eccomi a voi.

                                                                                  ***

Tutti i pezzi musicali, componenti I Pezzenti, dal primo fino all'ultimo, sono di ottima fattura. Rigorosamente parlando, non si potrebbe giudicare una scena senza dover constatare in essa una condotta severissima, ed una strumentazione, più che accurata, irreprensibile; la quale strumentazione, se può avere un difetto, è forse quello d'esser troppo nudrita. E da questa parte il Canepa non può temer confronti con nessun maestro vivente... e neanco morto! - Nell'insieme però dell'opera parmi notare una certa qual uniformità nelle tinte dei diversi pezzi. Si passa da un pezzo grave e severo in altro più severo e più grave. Le diverse passioni sono stazionarie - vi si nota, direi quasi, un ristagno, né sai di che. Lo spettatore non ha tempo di trar fiato, il suo animo non sa dove riposarsi, poiché non vi ha nulla che rompa di tanto in tanto quella musica, direi quasi, solenne, severa, superba. Il cuore di chi ascolta si assopisce spesso, per dar luogo al lavorìo della mente, la quale, colpita dal lusso e dalla scienza dello strumentale, si ferma di preferenza nell'orchestra che sul palcoscenico. - Succede poi un fatto grave che, secondo la mia opinione, costituisce il principale difetto dello spartito di Canepa: - i primi due atti interessano più degli ultimi; o meglio le bellezze degli ultimi sono ecclissate dalle bellezze dei primi; e se il maestro non avesse elaborato con vero genio musicale il finale dei suoi Pezzenti, avrebbe forse, se non in tutto, almeno in gran parte, compromessa la felice riuscita della sua opera. - Il dolce sempre in fondo! - è questo il segreto del Teatro! Il pubblico va pur troppo a casa coll'ultima impressione; novantanove su cento esso dimentica le passate bellezze. Su questo principio si fondano le ingratitudini umane. Un piccolo rancore ci rende immemori dei benefizî ricevuti!

Nell'opera, dunque, manca quel crescente dell'azione che è il segreto per inchiodare lo spettatore in Teatro, facendogli dimenticare l'orologio. - Dal secondo atto in giù l'azione perde della sua forza, si snerva, e corre allo scioglimento fiacca... direi di mala voglia. Insomma, se non mi fosse permesso spiegarmi con una figura... non rettorica, oserei dire, che il coraggioso ed abile maestro, accortosi che il dramma perdeva delle sue forze, gli ha fatto scudo col petto, e brandendo la sua spada (o meglio la sua bacchetta) gli ha salvato la vita, ottenendo una vittoria, quando si paventava una sconfitta. - Questo fatto dimostra che Canepa ha un genio potente - ma non toglie però che l'azione sia svolta con poverissimi mezzi.

Di ciò si deve dar colpa al Canepa? - No. L'errore principale consiste nella condotta drammatica. Il carattere dei diversi personaggi è in generale vago e incerto, se ne togli quello di Enrico, scolpito con una certa energia, e quello di Maria di Rysdal nell'atto secondo, tratteggiato con maestria. L'intreccio è poverissimo, ricco di luoghi comuni che ricordano il Trovatore - la condotta del dramma incerta, rattoppata - la distribuzione delle diverse parti molto squilibrata. - Maria lavora troppo nel secondo atto - il Conte entra nel terzo per raffreddarsi nel quarto - Rita è un'inutile assistente di Maria - Pietro un inutile assistente di Enrico - Federico una specie di chiavistello per chiudere gli atti, e per completare i finali concertati. Esso ha una parte vaga, antipatica; da costui si poteva trar molto partito, perché poteva rannodare fra loro gli altri personaggi del dramma, e far riposare i compagni cantanti, specialmente la soprano. - Insomma, riepilogando, parmi che l'insieme del dramma sia un'accozzaglia di scene dov'è un po' di tutto... meno i Pezzenti. - Non trovo nell'insieme dello spartito quella maschia impronta che dovrebbe caratterizzare gli sforzi di una setta che vuole scuotere il giogo dell'espressione. L'unico punto in cui questa impronta doveva apparire è nel famoso inno del terzo atto, pezzo musicale originalissimo, trovata felice che rivela in Canepa il maestro non comune, ma che pure, non risponde all'importanza della poesia. Quelle tre stroffe del Cavallotti richiedevano una musica speciale - era uno di quei pezzi, l'unico forse, che doveva attirare tutta l'attenzione e tutto lo studio del maestro - uno di quei pezzi che dovevano subito colpire il cuore e la mente dello spettatore - pezzo gigante che doveva improntare lo spartito - canto dominante da ripetersi dal popolo, - da caratterizzare insomma la rivolta dei Fiamminghi. E invece quel pezzo fugge, vola, non si lascia percepire, non vuol quasi lasciare alcuna traccia. E qui, diciamolo pure, i versi di Cavallotti sono robusti, incisivi, di fuoco! - Ha torto Canepa di averli musicati come li ha musicati? - Volendo rispettare il libretto non ha torto. Quell'inno non è a posto. Esso doveva cantarsi dai Pezzenti nell'accampamento, prima però che Pietro e Rita venissero per avvertire che Federico muoveva al tempio con Maria. Capisco anche io che, cantando dopo, doveva cantarsi in fretta, perché si doveva correre alla liberazione di Maria; anzi, se non avessero cantato quell'inno, forse i Pezzenti sarebbero arrivati in tempo a togliere dalle mani di Federico la figlia dei Rysdal, la quale non sarebbe morta avvelenata sulle soglie di una chiesa di campagna.

Dunque? Dunque Canepa, rigorosamente parlando, non ha alcun torto. Dirò anzi di più, questo spartito resterà sempre nel repertorio delle sue opere come la prova più luminosa del suo genio, il qual genio sa infondere un'anima ardente in un corpo debole e rachitico.

La colpa è dunque del poeta?

Si, del poeta!

Cioè a dire, di Fulvio Fulgonio?

Del poeta si, di Fulvio Fulgonio, no! Il mio carissimo amico, che riconosce meglio di qualunque altro i difetti di quel dramma, non ha bisogno certo dei Pezzenti per farsi un nome. Autore di pregevolissimi lavori, fra i quali molti libretti d'opera, egli ha già una fama stabilita, specialmente a Milano.

La colpa è di Felice Cavallotti, il cui dramma I Pezzenti, scritto con potenza di verso e di concetti robusti, lascia troppo a desiderare per condotta drammatica. In questo primo lavoro teatrale del Cavallotti è imperizia assoluta di scena, e non può stare certo a confronto coll'Alcibiade, dramma che alla robustezza di verso e di concetto unisce forma splendida e maestria di sceneggiatura. - I Pezzenti  del Cavallotti si reggono unicamente per l'entusiasmo patriottico che spira da ogni verso; ma per ciò che riguarda disposizione di parti, intreccio e interesse non si prestano certo per un melodramma, dove la parte concettuosa non può mai spiccare. - Il Fulgonio ha dovuto scrivere I Pezzenti, ma invece di attingere alla fonte storica, dove avrebbe trovato situazioni sufficienti per un bellissimo melodramma, ha voluto togliere scrupolosamente l'argomento e la condotta dal dramma di Cavallotti, sopprimendo i personaggi del Duca d'Alba e di Vargas - e ciò per ragioni di delicatezza e di riguardi al suo carissimo amico.

Ed ora permettetemi di dirvi, che, quantunque il melodramma di Fulgonio è difettosissimo per disposizioni di parti e per condotta di sceneggiatura, pure è di gran lunga superiore ai Pezzenti del Cavallotti. - Nei finali degli atti di Fulgonio vi è più effetto scenico che in quelli di Cavallotti. Potrei qui, scena per scena, dimostrarvi la verità della mia asserzione, se l'indole del mio scritto non me lo vietasse. Mi basterà accennare una circostanza:

Quando Enrico di Brederode, con barba finta e travestito da frate (come il bandito Ernani) si presenta da Maria di Rysdal che è alla vigilia di pronunciare i voti della vestizione, la povera fanciulla ha, nel dramma di Cavallotti, un dialogo lunghissimo coll'amante, né sospetta del travestimento; anzi vuol confessare a lui tutti i peccati commessi in parole, in opere ed omissioni. Questa scena è inverosimile, perché una barba finta è sempre barba finta, ed una fanciulla innamorata come Maria dovrebbe subito riconoscere la voce dell'uomo che ama tanto. - Fulgonio si è avvisto del difetto, e non solo vi ha posto riparo, ma ha reso quella situazione tutta nuova e interessante. Egli fa parlare così Maria: "- O santo sacerdote; io ho scolpita nell'anima l'immagine di un uomo che forma lo strazio di tutta la mia vita; quell'immagine di un uomo che forma lo strazio di tutta la mia vita; quell'immagine mi toglie al mondo, mi strappa all'altare, e m'insegue dappertutto. La vedo nel Cristo; e son così innamorata, che, anche adesso, in vedervi, mi pare di sentire la sua voce!... Oh, parlatemi sempre!! -"

Questa è poesia; qui è cuore, è slancio - basta questa variante per giudicare l'ingegno di Fulvio Fulgonio.

Conchiudendo dunque, osservo che: come Fulgonio, pur seguendone la condotta, ha fatto maggiormente spiccare le situazioni del dramma di Cavallotti, così Canepa colla potenza del suo genio ha, non solo fatto risaltare, ma dato vita al melodramma di Fulgonio - il qual melodramma ha pure in seno il peccato originale - peccato che non potrà intieramente lavarsi, neanco col battesimo datogli dal maestro.

Confesso che ho forse con troppo rigore analizzato il melodramma del mio amico, ma ho voluto pure rilevare il valente poeta dall'accusa fattagli da più di un giornale. Quella di Fulgonio fu tutta questione di gentilezza d'animo. I Pezzenti si dovevano scrivere - scrivendoli si doveva lavorare sulla traccia del dramma di Cavallotti - lavorando sulla traccia di Cavallotti si doveva incorrere in varie inconvenienze. Tutto ciò corre naturalmente - Fulgonio ha però fatto il suo dovere - Canepa ha la coscienza di aver dato vita a quel lavoro - Cavallotti infine, scrivendo il suo primo lavoro drammatico, ha ottenuto lo scopo che si era prefisso: istillare colla potenza del suo verso, i sensi di liberta nel cuore del popolo.

Quanto a Canepa, deve andare superbo della sua opera, la quale rivela in lui un provetto maestro. - Egli è giovine; continui dunque a scrivere, e faccia capitale del tempo e della sua gioventù. Fra i pregi principali ne ha uno che a pochi è dato avere - la facilità di scrivere. Vi sono nel David Rizio  e nei Pezzenti pezzi di forza che il Canepa scrisse in parecchie ore. Approfitti dunque di questa facilità, né lasci all'indomani ciò che può fare oggi; pensi che quando si è giovani la fantasia ed il cuore sono sempre caldi - cogli anni si può avvantaggiare nella parte scientifica, ma nell'ispirazione, no. L'esperienza ordinariamente ci rende filosofi - e l'artista ha bisogno di essere poeta. Mi raccomando alla sua novella sposa, perché faccia mettere un po' di giudizio in quella testolina un po' troppo originale!

                                                                                   ***

A questo punto mi avvedo che ho consumato più carta di quella che io prevedeva. Bisogna dunque che io spenda poche parole sulla esecuzione dei Pezzenti al nostro Civico.

Io auguro a tutti i maestri di musica una accurata esecuzione dei loro lavori, come quella che hanno I Pezzenti nel nostro Teatro. L'insieme dello spettacolo è ottimo. - Quando si hanno artisti come la Rubini, come la Bernardelli, come Rossi e Castelli, che alla valentìa del canto uniscono una intuizione drammatica delle più raffinate; quando si possiedono artisti che cantano con amore come il Pozzi e il Castagnoli; quando si ha un'orchestra che suona con raro colorito; Cori intuonati ed intelligentissimi; Concertatori  e Direttori come Canepa, e vestiari e decorazioni come quelli provvisti da Bruni, da Pagliani, da Dall'Era di Milano, gli spettacoli non possono andar che bene. E il nostro pubblico rende giustizia al merito, poiché fa oggetto dei suoi applausi tutti gli artisti indistintamente.

Altra volta vi darò ragguagli particolareggiati dei singoli artisti - per oggi concedetemi un po' di riposo per questa mia lunga chiacchierata.

 
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