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ENRICO COSTA


Sassari, Gallizzi, 1961
Raimondo Bonu, Scrittori sardi nati nel secolo XIX
Enrico Costa

I

Dalla sua atmosfera grigia di orfano e di povero, sentì incerte le speranze e deboli gl'incoraggiamenti. Vedendo precocemente quanto fosse difficile la sua esistenza, fin dai dieci anni pensò a qualche cosa che colmasse l'ansia dell'occupazione stabile e la prospettiva dell'autodidatta, e trovò quel quid, quel mezzo indispensabile di vita nella sua intelligenza, che andò subito affinando nel lavoro e nella tenacia.

A quattordici anni lasciò definitivamente la scuola. Della scarsa preparazione culturale risentiranno generalmente le prime pubblicazioni; della sproporzione descrittiva soffriranno spesso bozzetti e romanzi; invece nella storia figurerà un utile e meditato tributo di idee.

Padre di Enrico Costa fu Domenico, il quale nacque in Cagliari nel 1810 e appartenne per vari anni all'orchestra di Sassari; dopo avere assunto e poi lasciato l'impresa del teatro civico, ritornò a Cagliari, dove morì nel 1851.

Enrico Costa nacque in Sassari l'11 aprile 1841. Impiegato nella Banca nazionale nel 1865, continuò la carriera nella Banca commerciale (1873) e nella Banca agricola sarda (di cui fu ispettore nel 1882); impiegato successivamente nella Cassa di risparmio e dal 1879 nella Tesoreria municipale, diventò infine archivista del Comune. Ebbe stabile dimora in Sassari.

Per quindici anni, fra il 1869 e il 1884, mise a profitto la tradizione musicale di famiglia e "fu l'autore di tutte le rassegne scritte per le opere date al teatro di Sassari, firmate col suo nome, o col pseudonimo di Actos o Ac, e così dicasi delle poesie, che si fecero per le serate dei cantanti (oltre una quarantina)". Con le romanze, le ballate e gli inni, dettò anche libretti per la musica [1].

Intanto aveva acquistato per lunga pratica una discreta competenza in materia bancaria. Perciò ebbe varie missioni amministrative, che diedero origine a coscienziose relazioni e a elaborati studi di indole storica. Commissario di Buddusò, scrisse una dotta relazione (1892); fece altrettanto per l'Ospizio di Ozieri (1894). Un'inchiesta che gli fu affidata sui Monti di soccorso di Porto Torres, gli offrì l'occasione di scrivere un'accurata indagine sulla benemerita istituzione isolana.

Si rivelò anche verseggiatore facile e novelliere originale, giornalista provetto e perfino pittore; fondò e per sei anni diresse "La Stella di Sardegna", rivista che in tempi di depressione artistica fu la palestra di molti scrittore sardi: fra i primi è da ricordare Grazia Deledda.

Visse povero, perché le risorse letterarie erano assai scarse e quelle professionali soddisfacevano appena le esigenze familiari. Morì a Sassari il 26 marzo 1909.

 

II

Quale romanziere, Enrico Costa si tenne fra il realismo e l'idealismo, spesso usando sovrabbondanza di richiami storici e di sviluppi descrittivi, sempre omettendo ogni riflesso di questione sarda. Ha scarso lo studio psicologico dei personaggi, non sempre corretto lo stile, non sempre curata la lingua. Generalmente, il romanziere istruisce e diletta, non educa né costruisce.

Paolina è la storia di un amore infelice, che ricorda nel titolo un analogo lavoro di F. U. Tarchetti. Il racconto è assai tenue e la sua "favola si stempera in una narrazione troppo prolissa zeppa degli arteficii della scuola alla quale si era tenuto troppo accosto; fu scritto affrettatamente per l'appendice di un giornale e vi manca la misura". Una divagazione sui partiti dei villaggi nuoce all'economia del lavoro; una digressione sulla musica donizettiana tradisce l'artista, ma non giova al novellatore. C'è peraltro "verità nel capitolo che riporta la morte dell'eroina e si nota vivezza nella descrizione di una festa campestre" [2].

Migliore esperienza artistica appare nei Bozzetti, che il Costa modellò sui dettami della scuola romantica e dedicò a Salvatore Farina, quasi a giustificarne la visibile e quasi generale imitazione (per esempio, Ninetta è storia sentimentale e quadretto di maniera, che ricorda molto da vicino la vicenda che il romanziere di Sorso ha descritto in Capelli biondi).

Una delle più conosciute produzioni narrative del Costa è Il muto di Gallura. Il romanzo (l'autore usa sempre il vocabolo "racconto") è l'eco fedele di un paese sardo, Aggius, e della regione del Limbara, vita eccezionalmente travagliata in cui, fra il 1849 e il 1856, s'intrecciano atti di generosità ed esplosioni di vendette, squarci di storia comunale e rievocazioni di costumi paesani. Anche se lo scrittore dice nella lettera dedicatoria al giornalista Medardo Riccio di avere scritto non un romanzo, ma una storia vera, resta evidente l'imitazione dell'arte classica del romanticismo, derivata dallo Scott e dall'Hugo. Infatti, questi gli fornisce la figura di Bustianu, il muto dagl'istinti perversi; quello il tema abusato dell'amore fra giovani e famiglie avverse.

La migliore fiammata romantica del Costa è La bella di Cabras. La vicenda si svolge in gran parte in Oristano, dove la giovanissima protagonista, orfana e illusa, vive, si disonora, chiude la vita nei gorghi del fiume Tirso.

Nel romanzo ricorrono le consuete descrizioni a sfondo folkloristico, quali la pesca del muggine nello stagno di Cabras e la festa di Santa Maria dello stesso villaggio; nello svolgimento dell'azione abbondano le immancabili digressioni storiche (del difetto lo stesso autore intende giustificarsi nella prefazione), e qua e là, con il senso evidente dello squilibrio delle parti, manca talvolta la conoscenza di comunissime nozioni (per esempio, non si "coniuga" mai "vulpes, vulpis, gallina, gallinae"). Stonata la nota anticlericale, che si risolve "a detrimento più che tutto dell'arte e della sincerità artistica" [3].

La bella di Cabras è l'opera della maturità del Costa e rappresenta quanto di meglio la sua arte poteva dare. In tempi di mediocrità desolante, mentre nella penisola si ricercavano nuove e diverse tematiche, il romanziere sassarese ha il merito di essersi fermato a rievocare vicende e leggende della sua terra, trasfondendovi la migliore parte di sé: la mente e il cuore.

 

III

Opera più duratura fece il Costa trattando l'indagine storica e la valutazione degli avvenimenti, nei quali trasmise la forza del suo spirito di osservazione e quel bisogno di conoscenza, che porta a vedere nel passato le ragioni del presente. Fedele all'innata tendenza del racconto e del particolare, riprodusse in un suo lavoro impegnativo (Sassari, vol. I, 1885), tutto un complesso di notizie, che si estendono dalle origini della città alle vicende delle varie dominazioni, dalla rievocazione di "usi, costumi, aneddoti, amenità, gare municipali, costumanze religiose, feste popolari, origine e storia di tutte le chiese, stabilimenti, istituzioni, edifizi, ecc." fino all'esame di altri fattori o elementi della vita cittadina, quali "governatori, deputati, sindaci, consiglieri, popolazione, agricoltura, industria, commercio, in tutti i tempi..." [4]. In tale congerie di cose, spesso è desiderata la serietà della storia, talvolta è superflua l'amenità della cronaca. Basti fare due sole citazioni: p. 240, capoversi 1 e 2; p. 244, capoverso 2, 6, 9.

Parziale rifacimento e integrazione del volume suesposto è l'Archivio del Comune di Sassari. Qui si rivela più scaltrita la tecnica del Costa e più salda la sua maturità di giudizio.

Tali pregi egli confermò con gli articoli pubblicati nell'"Archivio storico sardo", la dotta rivista che dedicò poi allo scrittore un esimio necrologio e le lodi più vive (vol. V, pp. 175-177).

Una nota particolare sui versi, che in genere sono l'eco mordace di un osservatore scettico, talvolta perfino indulgente.

Il Costa volle descrivere, nel 1882, le dodici "città" sarde e affidare i 12 sonetti (con un altro di sommario) alle "Serate letterarie" di Cagliari. I versi hanno varie note illustrative e alcune quartine con insolita disposizione di rima. L'autore disse che intendeva scherzare "fra amici in casa propria", "senza un'ombra di malignità": invece si attirò malumori e fastidi.

 

 

[1] G. Orrù, Piccolo dizionario dei musicisti che hanno fatto parte delle orchestre e bande di Cagliari dall'anno 1830 al 95, Firenze, Stab. lito-tipografico G. Passeri, 1896, p. 163.

[2] R. Garzia, Enrico Costa, Cagliari, Tip. e Leg. Industriale, 1912, p. 21.

[3] E. Pilia, Il romanzo e la novella, Cagliari, Il Nuraghe, 1926, p. 83.

[4] E. Costa, Sassari, Sassari, Azuni, 1885, tomo I, p. 8.

 
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