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ENRICO COSTA


La noia del presente. Nella scuola dell'avvenire
Enrico Costa

ALL'AMICO FRANCESCO SALIS


               I

   La noia e il tedio! - ecco le due parole
Che sono indispensabili 
Come la pioggia e il sole.
È proprio una mania!
In prosa e in poesia
Il tedio piace, affascina, seduce.
Dir vita senza tedio, oggi equivale
A dir, con isproposito,
Colore senza luce,
Prosciutto senza sale.

               *
             * *

   Al giorno d'oggi l'uomo, appena nasce
Grida alla levatrice:
« - Mi tediano le fasce! - »

   All'età di tre mesi
Già sente tutti i pesi
Dell'essere infelice.
« - O babbo, com'è lunga questa vita!
« - O mamma, invece della tua mammella
« Dammi la rivoltella:
« Voglio farla finita! - »
E la tenera madre, a cui non garba
La preghiera del figlio,
Gli risponde: « - Carletto,
« Pensa al materno affetto, e ti consola;
« Allor che avrai la barba
« Ti ucciderai - ma adesso
« Permetti ch'io ti cambi le lenzuola;
« Sei un po' distratto, e spesso,
« Parlando con rispetto,
« Non ti vergogni d'inaffiare il letto! - »

   Venuto grandicello
Gli dicono che in testa ha del cervello,
E a scuola vien mandato;
Ma lo studio lo tedia, egli è annoiato
E non ha più speranze;
E allor, fanciullo indocile
Di costumi corrotti,
Ruba i soldi allo zio
E il nido ai passerotti.

   Appena ha messo i denti,
E conta gli anni venti,
Eccolo già filosofo.
Egli con compiacenza
Si guarda nello specchio,
E insieme al nodo della sua cravatta
Studia la gravità dell'uomo vecchio.

    In quel tempo l'assale
La febbre della scienza,
E va di quando in quando
A frugar nelle tasche alla Natura,
Siccome fa la guardia doganale
Che spera un contrabbando.
Ahi, trista prova - e dura!
In ogni luogo ei trova
Dubbio, sconforto e tedio:
Tre gravi malattie senza rimedio! -

   E da quel giorno non trova più pace,
Ed odia tutto - Dio, Natura e Donna! -
In un buio profondo
La sua fede è piombata;
E allora egli è capace,
Di odiar la madre che lo ha messo al mondo,
E di odiare la nonna
Da cui la madre è nata!

   Pieno di presunzione,
Or sfida il Padre eterno - ed or confonde,
con troppa modestia,
Sé stesso colla bestia. -
Alfin si grata il capo; e infastidito
Di non aver capito,
A Dio chiede ragione
Dell'essere suo; - ma Dio non gli risponde;
E trovo che fa bene,
Perché ai matti risponder non conviene!

   Di sua carriera al termine,
Egli si accorge alfin, che, in fondo in fondo
Non è sì brutto il mondo;
E vorrebbe transigere
Col tedio del passato;
Ma tutti lo discacciano
Mettendolo a riposo,
Poi ch'egli, a furia d'essere annoiato,
Ha finito per essere noioso! -

               II

   Ne ho visto tanti scettici,
Col gozzo pieno di filosofia,
Uscir dall'osteria
Ruttando e barcollando,
Sorretti da una Venere
Che non era dei Medici!
E ho udito molti giovani
Gridar con insolenza:
« - Eccoli, i tristi frutti della scienza!
« Belle opere che fa Dio!
« Un povero mortale
« Oggi è costretto a chiedere
« All'alcool l'oblìo
« E un letto all'ospedale!
« Genio incompreso e odiato,
« Cui il nascer fu delitto,
« Oggi a scontar comincia
« La colpa d'esser nato! - »
Ma che geni d'Egitto!
Son vili e mascalzoni:
Voi li chiamate geni - e noi, in provincia,
Li chiamiam brïaconi! -

   Ne ho udito tanti d'atei
Parlare di sconforti,
E con rabbia feroce,
Bestemmiare l'Eterno e la Natura;
Ma poi, prima di entrare
In una stanza oscura,
Gli ho visti farsi il segno della croce
Perché dei nostri morti - avean paura!

   Ne ho udito dei filosofi,
Libertini annoiati,
Imprecare all'amore
Perché nella libidine
Aveano, i vili, soffocato il core!
Gli ho visti sogghignare
Vicino al lupanare,
Calunniando ogni povera fanciulla
Che, intenta ad una culla,
Veglia sull'ago, e suda! -
Ma poi, vecchi ridicoli,
Gli ho visti pur cadere in un pantano,
E sposare una druda
Comprata in piazza, di seconda mano!

                III

   Il nostro è dunque un mondo
Di gente che sbadiglia?
Caduta è proprio in fondo
Quest'umana famiglia!
Tutto si vuol distrutto
O colla scienza o colla rivoltella:
Il tedio, come il pepe e la cannella,
Oggi entra dappertutto!

   Con tante nenie insipide
Perché annoiar la gente?
Se vi è fastidio il vivere,
Crepate d'accidente,
Senza romper le scattole
Di mezz'ora in mezz'ora
Al vostro stanco prossimo
Che suda e che lavora! -
E che! - manca l'arsenico?
Manca un pozzo profondo?
Mancan pistole e spade?
Ma via, rassicuratevi;
Vi sono mille strade
Per uscir dal mondo!

   O poveri annoiati,
Perché mai siete nati?
E se il viver vi accora
Perché, o minchioni, non morite ancora?
E se la nostra vita vi dà noia,
Se dentro al cor vigliacchi vi sentite,
Perché allor non morite
Per le mani del boia?

               IV

   Facciamola finita
E parliamoci franchi e apertamente: -
Se questa nostra vita
È proprio un tedio - il niente;
Se il povero mortale
È condannato a vivere
Peggio assai del maiale
Che è l'infimo dei bruti,
Non spetta forse a voi, che Dio vi aiuti!,
Consolarlo un pochino
Invece di cantar: - tu sei un cretino?
A voi cui fu insegnato
A leggere ed a scrivere?
Pel nostro bene... e vostro,
Non sarebbe assai meglio
Lasciar la noia e il tedio nell'inchiostro?

   O poeti e filosofi,
Che dell'Umanità siete le bussole,
I remi ed i timoni,
Deh, consolate gli uomini!
Pensate da una volta
Ch'è proprio da maligni e da birboni
Cacciar nell'altrui core
I vostri dubbi e il vostro malumore!
È un'opera da scaltri
Sfogar, coi canti, un mondo di fastidi
Per aggravarne gli altri!
Siate almen ragionevoli,
O caparbi figliuoli:
In casa racchiudetevi
E annoiatevi soli!

               *
             *  *

   Ed or, se non vi spiace,
Con vostra buona pace,
Parliam della missione del poeta.
Ma, non ciancie - intendiamoci!
Qui non c'entra la forma - del Fanfani
Ne parlerem domani! -
La vostra nuova scuola a che conduce?
Qual'è la vostra meta?
Il vostro tedio è luce
Di civiltà e progresso?
Il vostro verso classico e inspirato
Qual bene ha mai concesso
Al vostro caro, e sempre trascurato,
Popolo che lavora?
Ingentiliste l'anima?
Recaste un benefizio alla famiglia?
La società migliora?
Può diventar la patria nostra grande
Se il popolo sbadiglia?...
Miei cari, a farlo apposta,
Tutte queste domande
Non hanno ancor risposta!

   Se sempre sbadigliate
Dal mattino alla sera
Come gente che vive alla galera:
Se anche le vie ferrate,
Le stazioni e i telegrafi,
Cagionano ai mortali
Un infinito tedio,
Per fermo, ai nostri mali
Nessun progresso porterà rimedio;
A noi più non avanza
Che l'unica speranza
Di tre o quattro diluvi universali!

   Che cosa è il tedio? - a voi chiedo perdono
Se dico il mio parere:
Il tedio è un ozio ¬- un ozio bell'e buono:
È un comodo mestiere
Per chi non vuol far nulla.
E voi lo combattete
Coll'assenzio, col ferro, o colla palla?
Miei cari, persuadetevi,
Il vostro mezzo falla!...
Immitate piuttosto, la fanciulla
Che, al mattino, con gioia
Dalle sue coltri balza,
E combatte la noia
Coi ferri... della calza!

               V

   Perdonate le chiacchiere
Ed abbiate pazienza.
Poeti - mi protesto:
Io non voglio rimorsi di coscienza.
Credo così! - del resto
Acqua in bocca, e silenzio! - io mi ritiro
E i giudizi sospendo...
Anzi, farò di più - dinanzi al pubblico
Dichiaro, che vi ammiro
Perché non vi comprendo!!!

 

(In campagna - ottobre 1877)

 
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