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ENRICO COSTA


Salvatore Farina a Cagliari
Enrico Costa

Il 23 corrente, Salvatore Farina, insieme alla consorte ed al figlio, muovevano alla volta di Cagliari, dove arrivarono la sera dello stesso giorno. Erano alla stazione a riceverlo alcuni suoi parenti, un buon numero d’amici, e molti ammiratori.

L’accoglienza che si ebbe a Cagliari il gentile romanziere fu delle più cordiali. Nei due giorni che soggiornò in quella gentile città, il nostro concittadino fu fatto segno a speciali dimostrazioni di simpatia, che valsero a provargli quanto stima ed affetto per lui nutrano i suoi  conterranei.

Gli si fecero visitare tutti i principali stabilimenti della città, ed in modo speciale l’Università e l’Ospedale. Molte furono le persone che andarono a fargli visita – perocché ognuno ascriveva a piacere far la personale conoscenza dell’autore dell’Amor bendato, del Tesoro di Donnina, e dei Capelli biondi.

La sera del 25 gli fu offerto da un’eletta schiera di distinti professori, letterati e scienziati un suntuoso banchetto nella Scala di Ferro, albergo diretto dall’instancabile Caldanzano, il quale, a ragione, venne denominato il Nestore degli albergatori sardi. I commensali erano una trentina , compresi alcuni parenti del Farina, ed il Direttore del Gazzettino, il quale aveva tenuto compagnia al suo intimo amico nel suo breve viaggio.

Nel banchetto regnò la gioia più schietta. Furono reciproche attestazioni di affetto, cordiali ricambi di saluti; insomma una vera festa di famiglia dove regnavano la concordia, il buon umore, e quella vera espansione che fugge sempre dai banchetti così detti ufficiali.

Il turacciolo della prima bottiglia di champagne, che andò a battere il plafond, mandando un graditissimo scoppio, avvisò l’allegra brigata che era tempo di tacere… per parlare. Logico controsenso!

Primo si alzò il Dottor Angelino Falconi, il quale lesse il seguente sonetto scritto e mandato dal Canonico Gavino Nino, che non poté intervenire al banchetto:

“a Salvatore Farina

salutato

col nome di Dikens italiano

il mio brindisi

 

Sonetto

A te luce d’amore e d’intelletto

Onde s’irradia la vita del cuore;

A te d’ogni gentile e sacro affetto

Scultor sovrano, amabile pittore,

A te il mio verso. Infondimi nel petto

Un tuo sguardo vestito di splendore,

Il riso tuo sereno ed il diletto,

I tuoi bimbi, la musica e l’amore;

E di te canterò, dal tuo bel nido

Come volando giovinetto ancora

Tal di te sull’Olona alzasti un grido

Ch’oltre i confin d’Italia ove dimora

Valore e cortesia, suona ogni lido

Del nome che più dura e più t’onora.”

 

Prese in seguito la parla il Comm. Pasquale Umana, il quale, presso a poco, parlò così: “In questa città colta e civile in cui da molti anni trovo conforto soave alle amarezze della vita, mi è dolce salutare con effusione di animo Salvatore Farina, stella fulgidissima nella pleiade dei letterati contemporanei. Questo saluto cordiale, segno di amicizia verace e di ammirazione profonda, voi, Salvatore Farina, lo gradirete dal vecchio amico, dal vecchio medico della vostra casa, che or sono pochi lustri amorosamente vi accarezzava bambino. Amici, il nostro caro ospite con una serie numerosa di opere sovranamente belle, sbocciate dalla sua mente feconda ha già fitto un chiodo nella ruota della fortuna. Quindi non vi chiamo a propinare per una gioia ormai conquistata ed imperitura; bensì v’invito a bevere agli anni lunghi, lieti e sereni di Salvatore Farina e della sua famiglia.”

Dopo l’Umana parlò il Prof. Filippo Vivanet; accennò alle diverse scuole della moderna letteratura, che descrisse con efficacia e con quella forbita parola che tanto distingue questo valente scrittore, caldo sempre di amor patrio. Parlò dell’ingegno e della valentia del Farina, e di parecchi biografi che lo vollero ad ogni costo piemontese o lombardo; fece risaltare sovratutto la bontà d’animo del giovine romanziere, fermandosi sulla moralità dei suoi lavori: e chiuso dicendo al Farina che, al Mio figlio s’innamora, Mio figlio studia, e Mio figlio è avvocato, doveva far seguire:  Mio figlio ama la Sardegna!

Il Prof. Falconi, salutando con affettò il Farina, ricordò agli astanti l’anno 1855, quando infieriva a Sassari il morbo asiatico. Chiamato in una casa, dove erano due colerosi, egli corse premuroso, ed apprestò loro le prime cure. Questi due infermi erano padre e figlio Farina. Il Falconi benedisse quella fausta circostanza che aveva conservato alla patria un romanziere valente , e si compiacque dell’ottima salute che godeva il Farina.

Il discorso del vecchio professore, fatto con semplicità ed affetto, commosse tutti gli astanti.

Dopo il Falconi prese la parola il conte Pietro Nieddu. Presidente della Corte d’Appello, che ricordò la sua intima amicizia col padre di Farina, Procuratore Generale del Re, sotto il patrocinio del quale, esordì nella sua carriera. Egli toccò vari episodi della vita del valente Magistrato, e salutò il figlio del suo caro amico con parole piene di sentimento e di affetto.

Si alzò a questo punto il Farina e con voce commossa pronunciò queste parole:

“Amici, – permettete che vi chiami con questo nome – Amici, vi ringrazio con tutto il cuore, e col cuore soltanto. Si – perché se oggi vi è piaciuto confondere l’affetto indulgente che mi portate col gran sentimento che ci lega tutti alla madre comune, non mi avete insegnato ad insuperbire, ma ad amare. Misurata con questo amore la mia vanità si fa piccina ed umile, e non mi domanda neppure la sua parte – me la chiederà domani ed io non gliela saprò negare – né voi mi accuserete di falsa modestia, se lasciando in disparte me stesso, mi fermo al senso vero delle vostre parole, e bevo alla patria mia.

“Ho vissuto lungamente lontano, ed oggi che so quanto mi sarebbe  dolce vivere in mezzo a voi, non mi nascondo per altro che anche la lontananza e generosa e benefica… a modo suo. Essa non ci dà solo il pensiero dolcissimo del ritorno, ma allarga i confini della nostra patria. Ed ecco perché v’invito a bevere all’avvenire della patria nostra – la Sardegna.

“Se il desiderio non m’inganna, quest’avvenire sarà bello. Sassari e Cagliari, dalle più lontane spiaggie dell’Isola si danno tutti i giorni la mano, e stringono un patto. Sia questo patto sacro a tutti noi, e possano la città agricola e la città marittima entrare mano mano in possesso delle ricchezze che sono patrimonio comune.

“Io bevo pure a questa cordialità tutta sarda, di cui oggi son’io che approfitto indegnamente, ma che ad ogni modo forma la prima ricchezza dell’isola!”

Giovanni De Francesco fece udire anch’egli la sua parola; disse che, sebbene non sardo, non poteva che gioire della gioia comune;e rappresentante dell’Avvenire di Sardegna, salutava il Farina scrittore ben conosciuto in Italia.

Per ultimo il Direttore del Gazzettino Sardo colse la fausta circostanza per mandare un saluto, a nome dei Redattori del Giornale sassarese, alla stampa cagliaritana ed ai cortesi abitanti della città consorella, a cui erano uniti da vincoli di affetto e di fratellanza.

La serata si passò allegramente e lasciò nell’animo di tutti una lietissima impressione. Fra le distinte persone che sedevano al banchetto si notarono il Deputato Ghiani Mameli, l’Avv. Cav. G. Palomba Presidente del Consiglio Provinciale, gli Avv. Gioachino Umana, Salvatore Caput, Carlo Brundo, Ant. Campus Serra, Antonio Scano, Cao Pinna ecc. ecc.

La mattina del 26 col treno delle 8 si partì da Cagliari. Erano alla stazione moltissimi amici e parenti del Farina, e quasi tutti quelli che assistettero al Banchetto.

Si arrivò a San Gavino verso le 10 e di là si andò alla miniera di Montevecchio, dove si pranzò. È inutile descrivere la cordiale accoglienza ricevuta dal Direttore della miniera, e dalla sua consorte. La gentilezza della signora Zelì Sanna e dell’Ing. Alberto Castoldi è ben nota a tutti i visitatori di quella stupenda miniera, classificata fra le più belle d’Europa. Peccato che la brevità del tempo non ci abbia dato campo a visitare, come era comune desiderio, le meraviglie di quelle montagne tanto ricche di minerale.

Alla sera del 27 si arrivò a Sassari, contentissimi tutti e pieni di ricordi del nostro soggiorno a Cagliari ed a Montevecchio; e maledicendo il cattivo tempo che ci aveva impedito di prolungare di qualche giorno la nostra gita di piacere.
 
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