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ENRICO COSTA


Una colazione alla forchetta. Saggio di realismo in salsa sentimentale
Enrico Costa
Ah, tacete, tacete!
L'ora del desinar già s'avvicina...
Odo un dolce sussurro:
Non è l'onda, né il zeffiro
Che spira tra le foglie dell'abete:
Sono due ova al burro
Che friggono in cucina!

Uova! Che dico? No -son due galline
Morte prima di nascere
Per voler di quell'essere premiato
Con un diploma d'angelo
Dal re dell'universo...
Ahi sapone spreccato - ahi tempo perso!

L'un mangia l'altro! - ecco l'eterno tema,
Ecco l'alto segreto
Della nostra esistenza!
Senza tante molestie
Ho sciolto il gran problema
Dello stupido Amleto!
Tanto le umane bestie,
Quanto quelle altre che il serraglio acchiude
Delle carni son ghiotte.
Qual n'è la differenza?
Queste le mangian crude
E quelle invece le divoran cotte!

Ahi, poveri innocenti!
Chi l'avria detto a voi?
Entro quel torlo, entro quel bianco albume
(Mistero inconcepibile!)
Sono le cartilagini,
Son l'ali, il becco, gli occhi, e fin le piume
Di due bestiole tenere
Nate per far l'amore al par di noi!

Sia maledetta la tiranna forza
Che ruppe a voi la scorza,
O aborti provocati! -
Cresciuti ed educati
Sotto l'ala materna
Sareste stati un giorno in un cortile
Razzolando il letame
In cerca di alimento;
Ed oggi invece, uniti in un tegame,
Come due scudi d'oro,
Cuocete lentamente
Sol per dare un ristoro
A quell'impertinente
Che ruttando ha sognato
D'esser l'opra più bella del creato!

Quel suon continuo e garrulo,
Che parte dai fornelli
Mi pare il lungo gemito
Di due cari fratelli
Dannati dagli Dei
A farsi quaggiù friggere
Come i sette fratelli Maccabei.
E chi ha coraggio rida
Della strana avventura!
Quell'olio è là che grida
Vendetta alla natura!

In un rantol di morte e in un vagito
Quei poveretti friggono,
Ed io qui aspetto e medito
Straziato dagli stimoli
D'un tremendo appetito;
E vôlto alla mia sposa
Così esclamo nell'impeto
D'una sublime e santa poesia:
" - Dolce consorte mia,
Dammi la collazione
Chè l'idealismo è tutto un'illusione - ".

Frenando a stento il pianto,
Con profondi sospiri,
La mia consorte pone ai ferri intanto
Un piccione grassotto;
Ed io con occhio ghiotto
Seguo lo spiedo nei feroci giri!
" - Altro infelice - esclamo - Ahimè, pur troppo
La cosa si fa seria!
Ma che cielo, che inferno
Mi andate blatterando?
Lo spirito dell'uomo non è eterno:
Eterna è la materia!

Vedi, o diletta moglie,
Là nell'orto quel cavolo?
Forse nelle sue foglie
È il mio futuro figlio, e il tuo bisavolo...
Polvere e fango siamo!
Col manzo e col castrato
Forse ogni dì mangiamo
Un nostro discendente e un antenato!
E fors'io con quest'ova
Caccierò nel mio siero
Un bricciolo del core d'Alessandro
O del cervel d'Omero! -

Ahi! fra breve quel pollo
Passerà nel mio sangue, nei miei nervi
E fin nel mio midollo;
E sentirò nel core
Accellerarsi il palpito
Di quella febbre che si chiama amore.
E mentre là, sovra le ardenti brace,
Cadon siccome lagrime
Le gocciole di grasso ad una ad una;
Mentre la serva mia, canterellando,
Apparecchia la tavola
E sfrega le posate,
Io, facendo il filosofo,
Penso agli strazi di quel mio piccione,
Al fuoco, alla graticola,
Ed alla cremazione!

Povero pollo! - io l'ho veduto un giorno
Svolazzar per la stanza:
Era tutto speranza
Il lieto volo che spiccava intorno.
Era avvezzo a posarsi sulle spalle
Della mia cara sposa,
Che, tenera, amorosa,
Avea di lui gran cura!
E la povera bestia
La adocchiava con occhio di pernice,
E si sentia felice
Beccando in sulla mano
Il miglio e la scagliola, l'orzo e il grano!

Io sorridea, pensando che mia moglie
Aveva un cor sensibile
E volea bene a tutti gli animali;
E le dissi un bel giorno:
" - Oh, come sei pietosa!
Tu ingrassi quella bestia e le vuoi bene;"
Ed ella a me " - Silenzio, non far chiasso!
Per lui non nutro affetto:
Amo te solo... e sol per te l'ingrasso! -"
E sì dicendo si stringeva al petto
La bestiolina rara,
Ma tratto tratto, con materna cura,
Soffiava dolcemente in fra le piume,
E con occhio leccardo
Guardava se il piccione aveva il lardo!

Venne una notte - e la mia sposa al seno
Strinse il caro piccione;
Lo carezzò, - chiamollo
Col nome di bibì - poi d'improvviso
Lo tirò per ilcollo.
Il povero animale
Sbattè più volte l'ale,
Fè di gambe, lottò, ma inutilmente,
Chè fra i ginocchi lo tenea ben saldo,
La mia cara consorte;
E questa alfin, mentr'era ancora caldo,
Con una certa gioia
Lo spennò, lo spiumò teneramente...
Fu buon cuore? accidente!
Fu la pietà del boia!

Lo vidi alla mattina
Disteso sovra il tavol di cucina,
Nudo, senza pudor, come Susanna
Allor che i due vecchioni
Con occhio libertino
La videro nel bagno, in un giardino!

***
Lascia or tu le illusioni,
Uomo superbo, e umiliati!
Perchè sai far le quattro operazioni
E leggi l'alfabeto,
Credi d'aver strappato alla natura
Il suo più gran segreto?
E vuoi aspirar al ciel, quando hai paura
D'una febbre terzana?
Eterno esser tu vuoi, quando, se spira
Un po' di tramontana,
Ti becchi un raffreddore?
La pretendi da immortale
Tu, che mangi la carne del majale?
S'esser non vuoi ridicolo
Lascia la mente e il core
E consacra un altare al tuo ventricolo!
Mandali tutti a spasso
I sospiri dell'anima:
Lascia la sacra fiamma
Del Genio a chi la vuol! - Figliuolo mio,
Tu mantieniti grasso,
Né disputar coi teologi
Se l'uomo è fatto a immagine di Dio!
Eccoti bell'e fatto
Il famoso programma:
A seconda la gente
Sii un po' savio e un po' matto;
Oggi razionalista
E domani col prete o col sacrista;
Se vuoi salvar la pancia - e aver quattrini -
Immita un po' la Francia
Che è una grande Nazione:
Oggi la Dea Ragione
Domani il Sacro Cuore e i Pellegrini!

Che cosa è l'uomo? Scimmia senza coda,
O belva senza pelo:
Dunque che c'entra il cielo?
Statevi sulla terra, ove la Moda
Vuol che s'inneggi a Satana.
Che c'entrano l'onore e la virtù?
Son cose da bambini.
O mondani, sappiatelo:
Né Dio, né crinolini
Oggi non si usan più!!!

***

Così pensavo! - e intanto la mia serva
Mi portò sulla tavola
Due ova al burro e il tenero
Piccione ai ferri. Io con furore insano
Strinsi un coltello con la destra mano:
Colla manca afferrai
L'empia forchetta ferrea,
E contemplando il ciel, con occhio torvo,
Cogli istinti del corvo,
Piombai sopra il cadavere
Che stava dentro il tondo.
Lo tagliai, lo squartai, lo divorai,
E maledissi il mondo,
I piaceri e gli affanni;
Ma poi ci ho messo sopra
Un vino di quatt'anni,
E mi gettai sul letto
Pieno d'indignazione
Per fare in pace un po' di digestione.

Sassari, giugno 1877.

 
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