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ENRICO COSTA


Un giorno in un anno
Enrico Costa

                    I
    ALBA DI PRIMAVERA

Piovea scialba la luce sul gruppetto
   Di case, sparse intorno a un campanile;
   Cantar s'udìano i passeri sul tetto
   E chiocciar le galline nel cortile.

Mastr'Antonio era già nell'officina,
   Le vecchie avean ripreso la conocchia,
   E salìa Don Ambrogio la collina
   Per dir la prima messa alla parrocchia.

S'aprì un balcone - e Nina sporse fuori
   La testa, a respirar la fresca auretta
   A lei recante il profumo de' fiori.

Era discinta - e, quando volse intorno
   Gli occhi e mi vide, si ritrasse in fretta,
   Senza neppur risposta al mio buon giorno!


                   II
    MERIGGIO D'ESTATE

Mandava il sol, per l'afa soffocante,
   Le sue vampe di luglio a la marina;
   Quando, pudìca e timida natante,
   Fra le spume del mar m'apparve Nina.

Venìan l'onde frementi da levante
   Ad assalir quel corpo di bambina;
   Ed ella schermo si facea, tremante,
   Chiudendo gli occhi con la sua manina.

Mi vide, e sparve. E là, dove le forme
   Al bacio offerse de' marosi infidi,
   In un cinto di spume io scorsi l'orme.

Tutto il dì ripensai le membra care;
   E un fremito mi colse, allor che vidi
   Il sol morente che baciava il mare!!

                    III
    SERA D'AUTUNNO

Là, nel vigneto, d'improvviso, il nembo
   Ci colse entrambi. Colme le cestelle
   Di grappoli, o di pesche colmo il grembo,
   Di quà di là fuggìan le villanelle.

Sotto un olmo, quel dì, correndo ansante,
   Nina cercò rifugio - ed io con lei.
   Del mio amor le parlai tutto tremante,
   Ed ella i suoi fissò negli occhi miei.

Tornò l'azzurro al ciel - tornò al lavoro
   Lo stuol di villanelle - e il temporale
   Non cessava per noi! Col raggio d'oro

Il sol morente baciava le stille
   Che a noi mandava l'albero ospitale
   Come pioggia di perle o di scintille.


                    IV
    NOTTE D'INVERNO

Soli soli eravamo accanto al foco,
   E di fuori cadea la neve spessa.
   « - Nina... sei bella! - » io le diceva; ed essa
   La man sul labbro mi ponea per gioco.

Spandea la fiamma moribonda un fioco
   Chiaror d'intorno... Io mesto, ella perplessa,
   Pallidi entrambi, e muti! Ad una stessa
   Forza andavàm cedendo a poco a poco.

I tizzi non mandavan più faville;
   Ma io vedeva nell'ombra, fisse fisse,
   Qual fuoco scintillar le sue pupille.

Posò la testa alfin su' miei ginocchi,
   Come bambina stanca. « - Ho sonno! -» disse;
   Ed io le chiusi con due baci gli occhi!

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