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ENRICO COSTA


Ultimi giorni di Vincenzo Bellini
Enrico Costa
I.
Ove attingesti mai quelle soavi
Melodie di dolore,
Usignol di Catania? ... A che pensavi
Quando un arcano spirito
In sen la febbre t'accendea del canto? -
Dai mesti accordi de la tua armonia
Piove un fatale incanto:
Un'aura dolce spira
Che ‘l cor m'inonda di melanconia.
Se i tuoi concenti ascolto
Un'incompresa voluttà di pianto
Mi punge l'alma e mi scolora il volto
Se tu canti d'amore,
Le più care memorie, e più penose,
Mi ritornano in core.
Ah, t'intendo, o Bellini! - la tua lira
Ha corde misteriose!...
Un senso vago, una stanchezza, un vuoto,
Una smania d'oblio,
Un'ansia indefinita dell'ignoto,
Un bisogno di Dio,
Un tormento, una noia
D'ogni umano diletto,
Tu, gentil siciliano,
Col suon d quella lira in cor mi desti!
Svelami, deh, l'arcano
Delle tue corde armoniche:
Dimmi - perché tu vesti
Di mestizia ogni affetto... anco la gioia?...

Assiso appiè dell'Etna,
Quando il monte ruggia, siccome belva
Di strage sitibonda;
O errante per la sponda
Di Mergellina, allor che a' piedi tuoi
In tenui spruzzi si frangeva l'onda,
Tu pensavi alla cara giovinetta
Che in te la prima accese
Nobil fiamma dell'Arte; - anima eletta
Che fortemente intese
Qual favilla destar con uno sguardo
Potea nella tua mente...
Né s'ingannò! - sovente
Il sorriso d'n angelo è fecondo
Di grandi opre, ed eleva
Ad alti sensi il core;
E Genio mai non può svelarsi al mondo
Se da una figlia d'Eva
Non riceve il battesimo d'amore!

Al fuggir della sera,
Solo e pensoso, per le amene rive
Di Partènope erravi. Il sol morente
Cadeva lentamente
Nei vigneti di Procida,
E la brezza, leggera,
Nel carezzarti il crine
A te recava l'acre odor de l'alghe
Rapito a le marine,
E la mesta canzon del pescatore
Che aprestando le reti
Aspettava con ansia il primo albore.
In quell'ora quieta, in cui il pensiero
Ai cari assenti vola,
Il povero nocchiero
Pensa a la famigliuola:
Ai figli amati, alla sua dolce amica
Da cui si dipartiva;
E in metro sconsolato par che dica:
"Chi sa, chi sa se un giorno
Alla natal mia riva
E in seno ai cari miei farò ritorno!"
Oh, quanta melodia!
E quai sereni affetti! E qual soave
Fonte di poesia
Ne le dolci canzoni
Dei figli del lavoro!...
Oh, quai pensieri, oh quante
Ricordanze per te! - Non fra i clamori
D'una turba d'oziosi, trepidante
Entro saloni d'oro,
Ma in riva al mar, fra rozzi pescatori,
Tu ricercavi i suoni
A cui tempravi la ta mesta Lira! -

Un profondo sconforto
Stringeva il core in quell'ora solenne!
Il zefiro cullava dentro al porto
Le navicelle; e, nella notte bruna,
Fra i cordami e le antenne,
Scendea furtivo il raggio de la luna
A carezzare il tremulo
Seno del mare - Era un ricambio muto
Di palpiti, di baci e casti amplessi
Fra due sposi promessi:
Un divino ineffabile saluto
Che a l'onde rivolgea la Casta Diva!
Solingo in su la riva
Tu contemplavi il raggio innamorato
E quel flutto commosso;
E il tuo pensiero intanto
Volava mestamente
Alla fanciulla che t'amava tanto!
Dimmi, o BELLINI - a renderti felice
Non bastava il su' amore?...
Acchè dunque il dolore
Informava il tuo metro, o sventurato
Cantor d'Amina, Norma e Beatrice?...

II.

Volgeva il sole all'orizzonte, ed era
Il tempo in cui, fatta dolente in vista,
La natura si spoglia
D'ogni fior, d'ogni foglia:
Pari a leggiadra sposa
Che, tradita in sua speme appiè dell'ara,
Con dolor si prepara
A togliersi ogni vezzo ed ogni rosa.
Un giovine gentil, dal mesto sguardo,
Dall'azzura pupilla
E dalle chiome inanellate e bionde,
a passo lento e tardo il piè volgea
a un solitario calle
che in grembo ad una valle si perdea.
Ristette alquanto... sospirò - poi, stanco,
Posò a fatica il fianco
Sul nudo tronco d'un annoso faggio
Là disteso dal vento.
Era pallido inviso e macilento,
Ed il rossor che autunno prodigava
Ai pampini del colle
Le pomella coprìa de le sue guancie. -
Si assise e sospirò - come il reietto
Cui la speme è fuggita
Dell'avvenir. Chinò la fronte al petto,
Immobile, pensoso:
E se di quando in quando
Non l'accusasse il respiro affannoso,
L'avresti detto un corpo senza vita.

Nel vano che s'aprì fra due cespugli,
Sorridente e vezzosa,
Il capo sporse una gentil donzella
E sogguardò d'intorno:
Pareva il casto giglio de la valle
Quando, furtivo, allo spuntar del giorno,
Si affaccia tra le foglie
E chiama a sé le candide farfalle.
Vide il garzon... sorrise - agile e snella
Spostò pian piano gl'intralciati rami;
Indi con piè leggero
Circospetta si mosse,
Come colei che brami
Recar dolce sorpresa al suo diletto.
Giuntagli a canto, la gentil persona
Leggermente curvò - poi, con affetto,
Tutta lieta e scherzosa:
Buon dì, VINCENZO! - disse, e sulla fronte
Un bacio gli depose.
Non si mosse il garzone, e non rispose
Al'ingenua carezza,
Chè ognor pensoso gli occhi suoi volgea
Alle squallide foglie
Che intorno a lui la brezza
Vagamente spargea...
Stupì la Bella... impallidì - sul viso
Morì l'incauto riso,
E piegando il ginocchio, ansante e mesta,
Sovra la spalla del gentile afflitto
Posò la bionda testa;
Indi, premendo al core
Le mani dell'amante,
Lagrimando proruppe:
" - E qual dolore
Ti cruccia sì, che innanzi a me tu taci?
Or dunque più non brami
Le mie carezze e i baci?!
Tu soffri!... oh, non negarmelo,
Tu soffri, - o più non ami
La tua cara Maria!...
Che altro dunque potria
Farti meco sì crudo, o mio BELLINI?...
Perché lo sguardo chini
E non mi fissi in volto?
Non mi ravvisi or più?... deh, mi rispondi:
Son'io che qui t'ascolto,
Son'io che bacio i tuoi capelli biondi!...
Mesto esser puoi cotanto
Fra tanta gloria, e all'amor tuo vicino?
Sorridi! - A eterna fama,
VINCENZO, il nome tuo fida il destino;
E la terra t'acclama
Signor dell'arte e del sovrano canto! - "

Sorrise. - Ahi! Qual sorriso
Sfiorò il labbro del biondo siciliano! -
Pur, carezzando il viso
Alla bella del cor, così le disse:

" - Il mio destino?! Ah taci... amor t'inganna!
Vedi tu quelle foglie al suolo sparse?
In esse legger puoi la mia condanna:
Il mio destin la scrisse! -
Osserva intorno intorno
Le bianche pratoline:
Sono le stesse ond'io composi, un giorno,
Un serto pel tuo crine.
Eran belle quel dì quand'io le colsi,
Ma un maligno destino
Sovra un campo di morte oggi le aduna.
Esse, col capo chino,
Sorridono innocenti a quella brezza
Che, mentre le accarezza,
Le sfoglia ad una ad una.
Eppure il sol morente
Un saluto lor manda;
Eppur, non vedi? a lor si raccomanda
Quella coppia smarrita
Di profughe farfalle
Che, bramosa di vita,
Corron vaganti per la nuda valle.
È cruda la lor sorte!
Non è lontano il verno
Che foriero è di morte,
E ne ride il creato - Insulto e scherno!
Il canto degli augei più non allieta
Queste piagge silenti;
Anco la rondinella
Batte l'ali inquieta, e si prepara
A lasciar con dolore
La terra a lei si cara
Ove conobbe amore,
Ove tutti son nati i suoi figliuoli.
Or che ritorna il gelo
Vuole il destin che l'infelice voli
In cerca d'altro cielo...
Volge autunno al suo fine, ed io con esso
Alla tomba m'appresso!

() "Ahi, tutto è spento, e più su questa terra
Per me non v'ha conforto;
Il mio povero cor per sempre è morto
Alla gioia e all'amore! ( ) Un crudo morbo,
Del mio primier mattino
Ha turbato il sereno.
Tu sola resti a me! - sovra il tuo seno
Lasciami riposar: lascia ch'io spiri
L'aura de' tuoi sospiri! ( )
Angiol di pace, deh, non mi abbandona:
Parlami sempre! - all'anima
La voce tua mi suona, ( )
Perché l'anima tua la mia comprende!
Nulla spero... eppur t'amo - e quest'amore
È un raggio che risplende
Nelle tenebre eterne del mio core!... ( )
Piangi, o fanciulla? nel fatal momento
Perdona al mio lamento:
È l'estrema scintilla di quel foco
Che morirà fra poco! ( )
Bella tu sei! - raggio del tuo sembiante
Parmi il cader del giorno,
E quest'aura che spira a me d'intorno
Mi sembra un tuo sospir! ( ) Mie care piante
O miei diletti colli, o ciel sereno,
Deh, rendetemi voi l'antica speme,
O lasciatemi almeno
Ai miei sogni d'amor morire insieme! ( )
Che parlo?... ahi, sol la morte
Darammi tregua... il mio destin lo vuole!
Quando offeso in suo stelo il fior vien meno
Né rugiada, né sole
Più ravvivar nol può...(3) Tal'è mia sorte!"

Io non amarti? Fastidir tuoi baci?
Di te scordarmi? Ah, taci,
Non parlarmi così, fanciulla cara,
Chè al mio cor troppo amara
Scende la tua parola!
Deh, taci, e in me t'affida.
Non sai che i canti miei
Io li debbo a te sola?
Non sai, Maria, che tu la stella sei
Che al mio genio fu guida?
Al mondo è ancora ignota
Questa ch'io nutro in cor fiamma gentile,
Ma pur sapranno, un dì, ch'ogni mia nota
Racchiude un nome... il nome di Maria:
Ch'ogni mia melodia
Un tuo pensier rivela - una speranza
Vagheggiata e nudrita
Per te sola, o mia vita!
Abbi tu in me fidanza,
E del mio amor non dubitar più mai;
Io sempre t'amerò, diletta mia,
Siccome un dì t'amai;
Chè se talor, cogli occhi lagrimosi,
E affranto da crudel melanconia,
Al tuo amor non risposi
E i tuoi baci, o gentil, non ricambiai,
Di tal mestizia, credimi,
Cagion non fosti mai! - Dentro alla mente
Fisso mi sta un pensier che amaramente
Mi cruccia e mi tortura:
Un'avversa natura
A me vaticinò, fin dalla culla,
Nei verd'anni, la morte!...
Ah, pur troppo, o fanciulla,
Si compie la mia sorte! - Osserva intorno
Qual lugubre tristezza!
Sui nostri monti muor la pratellina:
Le acacie più non mandano profumo
Su la nostra collina;
E anch'io, nel più bel fior di giovinezza,
In lenta febbre i giorni miei consumo! -
Tutto è squallor! - ma tornerà, coi fiori,
La dolce primavera;
Vedrai tu, ancora, il campo rivestito
Del suo splendido manto,
E il vento della sera,
Nel passarti daccanto,
A te dirà che sovra il nostro colle
Le acacie han rifiorito...
La natura non volle
Per sempre dispogliar questa gentile
Valle or deserta intorno:
Tutto ritornerà col nuovo aprile...
Sol'io più non ritorno!
E forse un dì, tutta pensosa e sola,
Per l'usato sentiero,
A questa valle il piè rivolgerai,
Ma non mi troverai!
Io dormirò laggiù - sotto una terra
Che m'accolse straniero
E che un dì, generosa,
Tetto ed onor m'offriva:
Io dormirò sotto un'acacia ombrosa,
Là, della Senna in riva,
Lungi da te, o Maria,
e dal bel cielo dell'Italia mia!...

...Ma di' - perché nascondi
Nel mio seno il tuo capo, ed in singhiozzi
Tu prorompi così? Perché sul core
Premi la mano mia
E la bagni di pianto?
Non piangere, o Maria,
Chè spirto sconsolato e melanconico
Sempre m'avrai da canto!
A te verrò col zefiro
Per baciarti le chiome,
E quando dormirai, sommessamente
Ti chiamerò per nome.
Sempre con te! - T'inebrierò d'amore
Col profumo del fiore,
E con l'aura, o Gentil, che tu respiri
Ti manderò i sospiri
Sull'ali d'una mesta melodia!...

...Ed or, basta, non più! Fanciulla amata,
Andiam che tarda è l'ora...
Dimmi tu - non ti par che sia gelata
Questa brezza che spira a noi sul viso
E i miei confonde co' capelli tuoi?...
Ho freddo... eppur la fronte
M'arde!... negar mel vuoi,
Ma l'ingannarmi è vano...
Vedi lontan lontano, all'orizzonte,
Su quel lembo di cielo,
Una striscia di fuoco?
Il sole è tramontato...
Diletta andiam - fra poco
Un tenebroso velo
Nell'ombre avvolgerà tutto il creato!... "

Un silenzio profondo
Regnò per la natura - e all'aura intanto
Sciogliea l'ultimo canto
Quel cigno moribondo.
Mentre la notte, placida,
Salutava nel ciel la prima stella,
Lo sventurato giovine
L'addio volgeva all'ultima illusione...
E quel cigno cantava! Ed era bella
La sua mesta canzone;
Chè forse in lui destava un pio ricordo
O un acerbo dolore!
Quel canto melanconico
Del passato era l'eco - era l'accordo
De la patria, dell'arte e dell'amore...
Alfin si taque - e l'ultima
Nota del suo lamento
In un bacio si estinse, in un sospiro:
Alfin si taque - e solo
Si udia nel bosco mormorare il vento
Che ritoglieva al suolo
Le sparse foglie e le recava in giro...


III.

Ove rivolgi il passo, ove t'aggiri
Ad ora inusitata,
Povera donna?... e perché mai sospiri
Fissando, disperata,
Lo scarso lume che dai lembi sfugge
D'un'imposta socchiusa?...
O felice delusa,
Io ben t'intendo! - è quello
Del tuo cantore il solitario ostello!
A più che mezzo corso è omai la notte
Ed il tremulo raggio,
Che in quella densa oscurità risplende
Come nunzio di morte,
Paurosa ti rende.
Uso non era di protrarre a tanto
Le sue veglie BELLINI,
E tu, smarrita, e mal frenando il pianto,
Senza meta cammini!...
Pur l'anima, intranquilla,
A chiedere t'incita
Novelle d'un morente...
Non t'inoltrar... deh fermati, o demente,
Chè cercheresti invano
Su l'azzurra pupilla
Il lampo de la vita!
Non varcar quelle soglie, o sventurata;
Ne verresti scacciata,
Siccome un dì la misera fanciulla
Sospiro di quel Genio
Che in Urbino ebbe culla!...

Alta è la notte, e deserta la via...
Che fai tu qui, Maria?
Fitte son l'ombre, e vedo in lontananza
Quella mesta fiammella moribonda
Che, or tremula s'abbassa,
Or si dilegua, e or passa
Dall'una all'altra stanza...
Essa par che risponda
A una grande sventura... Oh va, mi lascia,
Non chiedermi di più!...
Vanne domani,
O mesta vedovella,
Alle ridenti sponde de la Senna:
Sotto un'acacia ombrosa
Un sasso troverai... colà riposa
Il tuo cantor - Che pensi? A che rimani?
Ritorna a la tua cella:
Solo Ei non è! - Lassù veglia una stella
I cui fulgidi rai
Splenderanno sul cenere infecondo:
Un sommo Genio essa rivela, e il mondo
Il suo tramonto non vedrà giammai!

Maria, sei pur beata!
A te un dì fu concesso
Regnar nel cor di Lui che fu il più grande
Cantor d'Italia! - Oh va; te fortunata
Che un amoroso amplesso
Sul tuo capo depose la corona
Che ti rende immortale!
Più fulgida e più bella
Mai non brillò l'uguale
Su la fronte d'un itala donzella!
Di te BELLINI lascerà ricordo
Solenne, immacolato:
Niun Genio mai lasciò più santa e pura,
Ai posteri e alla storia,
La tenera memoria
D'un amor lagrimato! -
M'odi, o Gentil - Su l'amorosa lira
Canta il Poeta, e svela nei suoi carmi
Il nome di colei per cui delira;
Alla creta ed ai marmi
Affida lo Scultore
Il segreto pensier che nutre in core;
E sulla fredda tela,
Le sembianze di lei cui strinse amore,
Il Pittor ci rivela.
Ma il tuo Bellini, no! - Quasi egli fosse
Geloso de tuo cor, delle tue forme
E d'ogni tuo pensier, non volle al mondo
Rivelarne gli arcani:
Mostrar non volle l'orme
Del tuo passaggio agl'invidi profani;
E solo ad armonia
Che a senso di quaggiù non si disposa,
Fortunata Maria,
Ei confidò la sua fiamma gelosa;
Sì che in udir le flebili
Note del mesto canto
Ogni anima sospira al vostro amore
E piange al vostro pianto;
E, se commosso il core
Risponde con un palpito a quei suoni,
È tuo quel santo palpito
Di gioia al Ciel rapita;
Perché tu sola inspiri le canzoni
Del Cigno Catanese!
Egli apprende alla terra
Ch'ogni sua melodia
In due pensier mestissimi si serra:
Nell'amor tuo, Maria,
E nel presagio di sua poca vita!

 
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