Dalla mia adolescenza riaffiorano
quaresime lunghe.
Dimesso dal cantiere, mio padre
frugava disperato i boschi d'alci
in traccia di pere selvatiche.
Sullo strame di stuoia
mi svegliavano, all'alba, topi in agguato
tra fascine di secco lentischio.
e non davo battaglia: tentavo
la rima ai primi versi e temevo
sui pochi libri il dente nemico.
Nella camera attigua, mia madre vegliava.
Esperta di tante strade
ignote alle automobili,
lei che sapeva trattare la falce
come i ferri del seggiolaio, si avvide
che il cuore robusto reggeva alle prove;
ma di fatica le morivano i ginocchi.
Condannata all'inerzia, restrinse
la fatica vitale al cervello:
e più non conobbero sonno i suoi occhi.
Rattratte le membra, sul misero giaciglio
ancora tesseva pensieri e consigli,
senza tregua, finchè il cuore le saltò
come all'émpito dell'acqua una diga.