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BIANCA PITZORNO


Milano, Mondadori, 2000
Sette Robinson su un'isola matta
Bianca Pitzorno
Per quale motivo l’isola fosse stata abbandonata, nessuno riusciva a spiegarselo.
Eppure in tutti i suoi cinque chilometri quadrati non c’era traccia di anima viva. A parte i naufraghi, naturalmente; l’avevano esplorata palmo a palmo alla ricerca di qualche indigeno che potesse dare loro un fustino di benzina per proseguire il viaggio. Infatti non erano dei naufraghi veri e propri, nel senso che la loro barca era affondata in una terribile tempesta, ma erano semplicemente rimasti senza carburante.
Le conseguenze comunque erano uguali a quelle di un naufragio in piena regola: si trovavano abbandonati su un’isola deserta  senza possibilità di ripartirne, né di comunicare ad alcuno la loro disavventura.
Avevano, è vero, trovato un apparecchio telefonico, durante la loro ispezione, ma il microfono, prima ancora che venisse formato qualsiasi numero, dava il segnale di occupato, quindi era come se non ci fosse. Proprio una strana isola, e strano il modo come ci erano arrivati.
Erano partiti come tutte le mattine dal molo sotto la caserma dei Finanzieri, su due barche, per raggiungere la spiaggia di Cala di Rena dove si trovava lo stabilimento balneare.
Su una barca c’erano tutti gli adulti, dalla prozia Caterina col suo parasole di seta al ragionier Stinchetti, baffuto amico di famiglia venuto dalla città per il fine settimana. Sull’altra barca c’erano i cinque bambini, con la mamma di Annetta e lo zio Silvestro.
 
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