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BIANCA PITZORNO


Milano, Mondadori, 1988
La bambola dell'alchimista
Bianca Pitzorno
La madre si Teo non poteva soffrire i bambini, specie quelli molto piccoli. Più piccoli erano, meno le piacevano.
Li trovava disgustosi da guardare e fastidiosissimi da tenere in casa, con tutte quelle loro insopportabili esigenze di mangiare, dormire ed essere lavati e cambiati ad ore così scomode per gli adulti.
Teo doveva la sua esistenza alla necessità di tramandare il nome della famiglia. Aveva passato i primi sei anni della sua vita affidato a una bambinaia giovane, allegra e affettuosa di nome Teodolinda, che si era licenziata solo quando il bambino era andato in prima elementare. Si era sposata con l’elettrauto di fronte e tutte le mattine salutava Teo sventolando lo strofinaccio per la polvere dalla finestra dirimpetto.
Teo ormai era cresciuto abbastanza per cavarsela da solo. A scuola si era fidanzato con una bambina di nome Valentina che gli offriva sempre la metà delle sue gomme da masticare. Poi, come succede spesso negli amori giovanili, Valentina si era innamorata di un altro (un “grande” di quarta che non la degnava di uno sguardo) e lo aveva lasciato.
Però erano rimasti buoni amici, e al pomeriggio della domenica Teo andava sempre a giocare dalla sua ex.
 
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