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BIANCA PITZORNO


Milano, Mondadori, 1989
Speciale Violante
Bianca Pitzorno
Un prato fiorito, con erba alta mossa dal vento. Papaveri, fiordalisi ed altri fiori a spiga, violetti, che Elvira non riesce a distinguere bene. Sulla destra una grande quercia, un gregge di pecore ammassate alla sua ombra. La luce obliqua ritaglia alcune foglie più chiare sullo sfondo verde cupo delle fronde.
Seduta sul prato una ragazzina di dodici, tredici anni, vestita di stracci terrosi, scalza, i capelli biondi raccolti in due trecce arruffate, e ciononostante graziosissima, mangia avidamente, tenendo vicino alla bocca una rozza scodella di legno. Le piccole dita maneggiano rapide il cucchiaio. La fronte è corrugata, tutto il viso concentrato sul cibo.
Rumori agresti, cinguettio d’invisibili uccelli, uno scampanio lontano, i belati delle pecore…
Quand’ecco da sinistra arriva al galoppo un cavallo nero, montato da un cavaliere riccamente vestito: gran cappello da moschettiere e ciuffo di piume al vento, e una muta di cani da caccia che gli corrono dietro abbaiando. Il cavaliere non vede la ragazzina seduta nell’erba alta. O forse la vede, e non la ritiene un motivo sufficiente per deviare la corsa.
Le è addosso. Il cavallo si impenna. La bambina guarda con occhi di terrore le zampe alte su di lei, gli zoccoli ferrati, e più in alto ancora, il muso della bestia con le narici schiumanti, deformato dalla prospettiva.
 
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