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PIETRO CASU


Nuoro, Ilisso, 2003
La voragine
Pietro Casu
Dopo il rovescio scatenatosi per quasi un’ora sul piccolo villaggio montàno, una pioggerella minuta s’ostinava a picchiettare sui tegoli e sui vetri, e costringeva la gente a starsene tappata in casa, come davanti a una minaccia del cielo insistentemente ingrognato. Silvestru Marreri, prigioniero impaziente e brontolone, s’affacciava di quando in quando al finestrino della porta tarlata per dare uno sguardo a quell’immenso lembo di ceneracciolo sporco, che si stendeva in alto a vista d’occhio sopra i tetti e le campagne per tinger tutto di malinconia. Il pallore delle cose gli si rifletteva sul volto, gli scendeva nell’anima: ed egli aveva l’impressione che quella brutta giornata invernale gli annerisse anche la coscienza, e glie la infradiciasse come uno straccio. Perciò faceva un gesto di rabbia contro quei nuvoloni che s’ammassavano irrequieti prendendo delle forme strane e paurose, e si ritirava mugolando per ricacciarsi nel suo buio, là, davanti all’antico focolare, dove agonizzava un focherello stinto, povero povero, che pareva soffrisse anch’esso dell’uggia universale. La cucina della vecchia casetta posta all’estremità dell’abitato era ancora bruna e filigginosa come tutte le cucine della misera gente di Sardegna di cento anni addietro; intonacata di terra, dal tetto basso (di cui le travi e i travicelli e le canne sembravano spalmate di pece), dalle pareti tutte ingombre d’attrezzi rusticani, dagli angoli stipati di legna o d’altri oggetti disparati, che formavano dei gruppi stravaganti.
 
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