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FLAVIO SORIGA


Milano, Garzanti, 2002
Neropioggia
Flavio Soriga

Scese le scale di corsa, il cuore gonfio la testa vuota, nessun pensiero, né paura né pena, scese le scale di corsa arrivò al portone, tirò un sospiro pesante profondo, aveva ucciso il suo amore che lo voleva lasciare, finire tutto troncare, ricominciare senza di lui, senza nessuno, l'uomo uscì dal palazzo, respirò forte, ritrovò il buio di quella notte: nera la pioggia fitta, neri il marciapiede l'asfalto, le case viscide d'acqua, neri i ricordi i pensieri, il suo cuore perso d'assassino, neri il cielo la luna, scomparsi chissà dove, nere le lacrime che avevano preso a scendere, nero il mondo intero, neropioggia, tutto.

I
Faceva freddo quella mattina a Nuraiò, il cielo grigio e basso mandava una pioggia pesante fitta, e vento gelido da nord, vento di vero inverno come quasi mai in quel paese di arsure estive e siccità, l'acqua batteva forte sui vetri, rimbalzava sull'asfalto le buche i marciapiedi, la terra si era saziata dopo poche ore, cominciava a essere troppa, quella pioggia gelata.
Marte si era alzata presto, non era andata a scuola, non aveva lezione, giorno libero il martedì, giorno libero e giorno di mercato, giorno di spese per le donne di Nuraiò
non per lei, che comprava nelle vie larghe della città lei non avrebbe passato la mattina tra casse di frutta scarpe formaggi, tra le matrone grosse del villaggio, variopinte di scialli e jeans, querce scure dagli diffidenti.

 
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