Signore,

fra i disagi del male cui vo soggetto da parecchi giorni leggo con sorpresa le parole intorno alle elezioni del tre febbraio inserite nel N.º 47 della Gazzetta popolare. Con sorpresa io dico, perché tenendo conto del decente contegno da lei serbato dopo quel fatto, e postolo a confronto con le acerbe invettive lanciate sul capo del mio dilettissimo cognato cav. Orrù di s. Raimondo, mi lusingai un istante che la povera mia persona avesse potuto meritare da lei almeno il rispetto del silenzio. Ma fu illusione la mia, dacchè tornando sulle prime furie Ella mi trae fuora dalle domestiche pareti per farmi segno dell’odio o del disprezzo del pubblico. Rinfresca così le scene non troppo piacevoli del 1852 quando io amico suo (e amico a prova di fatti) ero sentenziato nel suo giornale, sebbene copertamente, siccome autore primario di tutti i danni della patria; ed Ella taceva e preparava in tal guisa il trionfo del suo partito nelle memorabili elezioni dell’anno successivo.