Istruzione
Cagliari, Tipografia del Corriere di Sardegna, 1875
Violetta del Goceano. Romanzo contemporaneo
Marcello Cossu
pp. 74-75
Il paesista quando si mette a ritrarre il villaggio, s'impegna di fartelo vedere un incanto di bellezza e d'amenità; epperò te lo suole dipingere disposto in anfiteatro sotto un purissimo cielo e sopra un magnifico tappetto di verzura; la torre co' suoi comignoli spicca fra i caseggiati, e fra quello e questi, alberi, orticelli, giardini fioriti e verdeggianti – una gran bella casa a vedere. Credi tu che quel pittore ti ritragga la natura? - T'inganni a partito; il villaggio non è così; quel quadro nitido e giocondo, è parto d'una fantasia sempre tendente al bello. - Al paro di quel capo ameno di romanziere, che a udirlo descrivere la villa, la riputeresti il più bel soggiorno del mondo. Falsi entrambi; come la pittura e la poesia son maestre del bello sublime, Io sono della menzogna.
pp. 75-77
Per vero dire le case dei nostri villaggi, eccetto alcuna di qualche ricco, sono oltre a ogni credere anguste, misere e indecenti – e più che civili abitazioni, si possono considerare capanne di pastori. Esse vengono d'ordinario costrutte di pietre rozze, e quali la natura le produce – cementate con del fango, spesso senza l'intonaco della calce né di fuori, né di dentro. In altri luoghi anche più disgraziati, e ove la natura fu avara di pietre, a queste si sostituiscono dei mattoni di terra non cotta. Le case costruite siffattamente ti danno una giusta immagine delle capannelle, che gl'ingegnosi castori si fanno da sé e coll'aiuto della lor coda. Il tetto poi, sia delle une che delle altre è fatto a canniccio, o a stuoie – raramente a palchetto. - Qui la bruma inesorabile fa sentire i suoi rigori, e il sollione vibra spietatamente i suoi raggi infuocati! Nè meno censurabile è l'ossatura delle case villareccie; oltrecchè fa a pugni coll'estetica e il buon gusto, torna incomoda e mal sana per chi vi abita. Figuratevi, queste case son quasi tutte a pian terreno, non han finestre abbastanza ampie per poter entrare conveniente quantità d'aria e di luce, e vi si entra per una porticella, che spesso obbliga l'ospite a chinare il capo, se non vuol avere la fronte baciata non molto carezzevolmente dall'architrave. La entro ti si para dinnanzi una vasta sala, con un pavimento ineguale, scabro e colle pareti affumicate e nere da smembrare l'inferno. Questa tien lungo di cucina; ha il focolare, ove nelle notti invernali la superstiziosa nonna racconta le sue leggende ai buoni villici del vicinato, che le s'assidono d'intorno e che le pendono dal labbro, spesso tornando a casa col cuore spaventato, per aver udito della Versiera, della Tregenda e del Diavolo che parla. Ordinariamente poi in questa sala stanno alla rinfusa uomini, bestie ed attrezzi per l'agricoltura; né vi manca il centimolo col suo asinello, che dopo la brava legge sul macinato, è costretto girare continuamente, anche per buon tratto della notte, e fino a che l'assidua massaia non venga sorpresa dal dio Sonno fra i suoi patern noster e i tira tira.. [...] Questo, per quanto riguarda il casamento del povero senza badare ai mobili che son fatti dall'accetta del legnaiuolo, e al sudiciume, che regna da per tutto.
p. 127
Inallora vivevamo mio padre e il padre di lei - due tipi pastori dallo stampo antico. Essi, divenuti ricchi dalle pingui entrate di lane e di formaggi e dalle vendite di molte partite di bestiame, e più dalla fortuna che a loro sempre arrise, avevano abbandonato la campagna e s'erano ridotti al paese; conservando però il carattere che avevano sortito e le costumanze pastorali, solo affidando la custodia dei numerosi armenti a dei lor servi-pastori.
pp. 128-129
Mio padre non pensava come sgraziatamente la pensano molti ignoranti del tempo presente, i quali per avere i loro genitori trasandato di educarli nelle scolastiche discipline, ne rendono la pariglia ai propri figli e li trascurano nell'ignoranza. Per costoro sicuro ci sarebbe di assoluto bisogno la legge sull'obbligatorietà d'insegnamento. Inallora avevamo nel paese un vecchio maestro dell'antica risma – certo prete d'una classica ignoranza, e che solevamo chiamare maestro Lupaccio! - Costui, era educato alla scuola del materialismo, non sapeva insegnare che con la legge del rigore. Aveva di più un umor tetro - un cuore selvaggio; i fanciulli lo fuggivano un miglio, e non si potevano ridurre a scuola, che a furia di minacce e scappelotti.. Era veramente un lupo in mezzo agli agnellini. - La scuola era luogo di sospiri, pianti e altri guai - perocchè il crudo maestro faceva ogni malgoverno dei poveri ragazzi... Potete immaginare con qual core cedessi alle preghiere di padre, che voleva frequentassi quel luttuoso luogo. - Il buon'uomo si figurava che ne dovessi attignere di molte belle cose, e il saper leggere e scrivere, invece a capo dell'anno portai a casa tante solenni busse, che m'aveano reso mogio lo spirito - la filastrocca delle orazioni di mane e sera, e la lettura dell'A,B,C, che aveva imparato pappagallescamente. Fu disposto perciò che il susseguente anno mi s'inviasse a Sassari presso il Convitto Canapoleno, ove avrei avuto una ben compiuta educazione.
p. 131
La scuola era piacevole convegno di vergini animi, ove amorevolmente s'impartiva il sapere; lo studio era irresistibile passione dei cuori, che li ammolliva e nobilitava ricreando, mentre lo spirito si spaziava e ingigantiva, emulato dall'esempio e dalla meta del primo.