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Arte

Cagliari, Tipografia del Corriere di Sardegna, 1875

Elodia e la repubblica sassarese. Romanzo storico

Marcello Cossu

p. 11
La chiesetta è quasi integra e assai bella per l'antichità che conserva. Essa è dello stile medievale;è disposta in forma di croce latina ed ha una sola navata. Aveva pure il pregio di una magnifica travatura simile a quelle delle chiese d'Ardara e di San Gavino di Porto Torres, però i moderni guastamestieri, nell'intento di restaurarla le hanno svisato il bel carattere. Al luogo della travatura fu costrutta una lucida volta - furono chiuse le aperture ogivali d'origine pisana e il finestrone rotondo d'onde prendeva luce, fu trasformato in una finestraccia sguaiata. Sull' altare maggiore si conserva tuttavia un simulacro, che rappresenta San Michele vestito alla guerriera, a cui era intitolata la chiesa.

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pp. 11-12
Il monastero oramai distrutto dalle infinite ricerche di sognanti tesori, era anch'esso opera pisana. Fu fondato nel 1139 da Mariano II regolo di Torres, - principe pacifico,sapiente e oltre dire pietoso - con bolla di  papa Innocenzo II. Esso aveva un sol piano superiore e veniva posseduto in un altra chiesa e sobborgo, con le sue terre schiavi ed armenti, da quei monaci Benedettini detti di Vallombrosa. Questi, ogn'anno alli 29 settembre, vi celebravano una gran festa con tutto lo sfarzo monacale d'allora.I villaggi vicini, gran parte del Logudoro e d'altre contrade dell'Isola vi concorrevano; massime per assistervi all'apertura della Porta Santa, che si eseguiva nella chiesa con un modo di curiose cerimonie, e con concessione d'indulgenza plenaria. Era appunto in così fatta ricorrenza che tutta quella gente viaggiava alla volta di Salvenero, e con tanta premura e letizia che avrebbe fatto pietà nel pensare alle sue immani disgrazie. - Ma era questo l'andazzo di quei tempi ne' quali, un momento di sollievo, bastava ad obliare ogni durato affanno!

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pp. 14-15
L'illustre scrittore La Marmora parlando de'nostri balli, così s'esprime nel suo Itinerario: << A queste danze prendono sovente parte gli  uomini e le donne, anche al di là d'una cinquantena d'anni. Bisogna però dire che il ballo pubblico se non esprime l'agiatezza e la poca cura delle persone che vi si dedicano non è meno un testimonio dei loro costumi semplici e dolci; specialmente allorchè si fa come suole quasi in tutta l'Isola, con decenza e con modo fermo e costante da far stare meravigliati i foresti che in quell'esercizio vedono il carattere degli abitanti. 

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pp. 16-17
In Sardegna – ove sono vini squisiti e prelibati quanto ogni bel paese d'Italia – qualche volta si fa abuso di questo nettare affascinante; ciò avviene d'ordinario nelle feste e a ben pochi; anzi a nostra gloria bisogna dire che il malaccorto adoratore di Bacco viene dai noi beffato senza misericordia – anche dagli stessi suoi amici e compaesani. Accanto a questa turba s'inoltrava altra folla di popolani avviati alla chiesetta. Erano mesti nel viso e abbattuti, e sembravano le anime di Dante quando cantavano il miserere a verso a verso. Ognuno d'essi aveva un cereo e la corona in mani e incedeva biascicando orazioni; alcuni erano scalzi e a capo scoperto con la prolissa chioma sparsa di cenere, altri si trascinavano, anzi orrore la vista d'un uomo, il quale, con gli occhi bendati e con le spalle nude, si flagellava miseramente con una taglientissima disciplina versando il sangue in gran copia.... Erano tutti fedeli che compivano un voto promesso al miracoloso Santo... Miserabile ma pur fedele immagine di quel secolo!

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pp. 22-24
Pertanto le campane di Salvenero e della chiesetta avevano ripresa lena. Ora si segnavano i rintocchi delle diverse cerimonie da farsi. Dentro la chiesa sull'altare maggiore, si stava apparecchiando un sontuoso faldistorio a frange d'oro tempestato a borchie ed un altro fuori dalla chiesa e vicino alla Porta Santa - che era una porticella praticata in una parete della stessa chiesa; in quest'ultimo si sarebbe dappoi l'Abbate prima di eseguirsi la solenne apertura. La chiesa era adobbata da larghi drapelloni rabescati – gli ori e gli argenti vi erano a profusione, i ceri innumerabili. Un raggio di sole penetrando dalla rotonda invetriata illuminava fantasticamente la maggior parte della navata; quivi in mezzo ad aurei candelabri disposti in bell'ordine e ad una moltitudine di popolo infervorato nella preghiera, s'ergeva il simulacro del glorioso Santo. Attorno v'erano sparsi i voti dei fedeli allusivi alla infermità da cui si era guariti, mercè l'intercessione dello stesso Santo e che consistevano in trecce da donna, in teste, in bracci – gambe e in altre membra d'uomo lavorate in legno – tinte in rosso con le macchie livide. E anche in qualche somma di denaro! All'ora stabilita si celbrò la messa con tutta pompa fra un concento di coristi e di monaci, quindi si fece la solita processione in giro del sottoborbo col simulacro del Santo, mancava d'eseguirsi l'apertura della porta Santa. Finalmente, l'abbate del monastero rivestito di abiti sacerdotali si dispone ad intraprendere l'ambita cerimonia. Egli comparisce sulla soglia della chiesa: venerando è il suo aspetto, maestoso il suo sguardo; la sua fronte è rugata per la tarda età, i suoi bianchi capelli sono cinti da un mitra di fino zendado a diamanti. Egli s'appoggiava con gravità pastorale su d'un bacolo d'argento; […] - la porta cigolando sui cardini si spalanca, un onda di popolo smanioso vi prorompe e mentre s'intuona l'inno di ringraziamento a Dio. La solenne cerimonia era qui finita. Quella porta si lasciava aperta per un mese – quando si racchiudeva – vi era concessione d'indulgenza plenaria per tutti quelli che vi erano passati. E le indulgenze inallora valevano qualche cosa!

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