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Arte

Cagliari, Tipografia del Corriere di Sardegna, 1875

Elodia e la repubblica sassarese. Romanzo storico

Marcello Cossu

p. 36
Intanto dalla strada maestra del sobborgo uscirono sei graziosi corsieri sottili e vispi come capriuoli. Ciascuno di essi era tenuto pel freno da un fantino vestito di bianco, col berrettino rosso in capo.

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pp. 44-45
Dalla parte del ponente si erano levati densi nuvoloni che in un momento avevano occupato tutta la distesa del cielo rendendola fosca e minacciosa – e avevano antecipato sulla natura le ombre della notte. Si vedeva la villanella  premurosa nel ricondurre all'abituro le sue capre – e il pestorello più sollecito nel chiamare a raccolta il suo gregge. Il boschetto che esisteva fra Ploaghe e Ardara era in quell'ora immenso nel silenzio, solo qualche volta vi si udiva l'usignolo cantare un dolcissimo canto, mentre il cinghiale lasciato l'ispido covo pasceva tranquillo, e il capriuolo gareggiava nel corso con la sua compagna. Odesi a un tratto per quegli inospitali sentieri il caplestio di cavalli mossi a gran fuga e tosto vedonsi comparire due furibondi cavalieri che sferzano, spronano, divorano la via - senza tregua finchè non raggiungono una vasta mole di castello ove smontano. Essi erano il Bastardo e Moro di ritorno della festa di Salvenero avviati al Castello d'Ardara loro dimora.

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pp. 46-49
Adelasia di Torres sarda eroina fra le più illustri però oltre ogni dire sventurata, dopo la morte del suo primo marito Ubaldo Visconti, il quale fu giudice di  Gallura e di Torres a un tempo era passata in seconde nozze con Enzo il bastardo di  Federice II di Germania. L' ambizione di  essere nuora dell'Imperatore e il  superbo titolo di regina che questi scaltramente le prometteva e a cui venne innalzata circa il 1240, avevano disposto l'incauta principessa a contrarre quel maritaggio, il quale poi le doveva costare un mondo di sciagure per tutto il tempo della sua vita. [...] In modo speciale inveiva contro le pulzelle del suo dominio; queste venivano rapite dai ferocissimi bravi, che si teneva attorno per servirlo, e trasportate nel Castello, ove poi di essere oltreggiate e turpemente contaminate, si facevano morire fra i più crudeli tormenti.

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pp. 50-51
La sala di cui intendo parlare era vasta assai e magnifica; aveva due ordini di colonne di marmo che sostenevano una volta a basso-rilievi ove sopratutto, spiccava un quadro, rappresentante San Gavino vestito alla romana e assiso su d'un cavallo bianco. I tramezzi della colonnata erano chiusi da ampie cortine di damasco e ogni basamento era ornato da un trofeo di spade, elmi e scudi. Nel fondo della sala s'ergeva un suntuoso baldachino di damasco giallo sormontato da una corona di torri dorate; a destra e sinistra eranvi vasti seggioloni rabescati e due aurei candelabri, che in quel mentre illuminavano tutta la sala.

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pp. 51-52
Il dipinto alludeva all'eroico fatto della principessa Verina figlia di Comita di Torres, la quale, avendo sorpreso dodici mori che a tradimento di notte tempo tentavano appicciar il fuoco agli accampamenti dei Sardi, con maschio ardire ne uccise due e poi corse ad avvertirne i Sardi, che usciti alla lor volta fecero compiuto massacro non solo di quei dodici, ma di ben due mila infedeli. Con ciò la principessa Verina fu pienamente vendicata dell'immatura morte del suo sposo Artemius ucciso poco tempo prima mentre combatteva contro gli stessi mori. - il fatto avvenne circa l'anno mille. Quella sala era la reggia dei dinasti turritani in cui amministravano la giustizia fin da quando la vetusta città di Torres venendo distrutta dalla pirateria saracena, indusse Comita II e la sua sorella Giorgia a trasferire la corte in Ardara. Stavano in quell'ora nella reggia due individui attorno ad una certa bisogna mentre ragionavano con la più bella tranquillità del mondo. Uno di essi era un vecchiotto grinzoso dal naso aquilino, dagli occhi di civetta, di bassa statura - esile esile; l'altro - una donna avvizzita anch'essa dagli anni e più che da questi, dalla lascivia; ma d'un alta taglia e d'una remota beltà che se l'intravedeva nel volto. Ella era Bianca Lanza lombarda così detta nelle storie - e colui, Donno Michele Zanche il sedicente Giudice di Torres.

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