Italia ed Europa
Cagliari, Tipografia del Corriere di Sardegna, 1875
Elodia e la repubblica sassarese. Romanzo storico
Marcello Cossu
p. 81
Le città marittime d'Italia: Genova, Venezia, e Pisa, dietro la caduta delle altre: Napoli, Gaeta ed Amalfi, erano sempre venute in fama e in potenza per i grandi possedimenti che si avevano guadagnato sul Levante – frutto delle quattro prime Crociate – e in cui senza requie esercitavano il traffico.
pp. 82-84
Pisa dichiaratasi già nemica di Genova fomentando gli antichi rancori, incominciò l'offensiva col prendere verso il 1276 le difese d'un signore corso a svantaggio della rivale. Costei ne fu punta sul viso e si diede ad allestirsi per la rivendica. In un primo scontro ventiquattro navi pisane furono assalite e fugate. Pisa mal sopportando l'oltraggio, fece di tutto per armare cento e tre galee con le quali andò a schierarsi proprio di fronte a Genova, incitandola alla pugna con infiniti improperi e schiammazzi e gettando dentro le mura per milanteria freccie d'argento. Genova quanto mai superba e severa tutrice dell'onor suo, non appena fu in grado di mettere in mare cento venti galee, ricambiò l'insulto. Pisa ancor più inacerbita risalì sulle navi e corse sitibonda di sangue alla vendetta. Le due nemiche si scontrarono nello scoglio della Meloria che doveva dappoi eternare il fraterno eccidio, e quivi spiegatesi, dato il solito segnale, si azzuffarono. Alberto Morosini ammiraglio veneziano comandava l'armata pisana e Umberto Doria, la genovese. Il primo scontro fu d'ambe le flotte d'egual vigoria e ferocia; il mare ne fu tutto sconvolto e videsi trasformare in un momento - così erano precipitate le mosse delle navi, - in tanti solchi spumosi e densi. Era un continuo scagliar dardi l'un l'altro, proietili, animali velenosi raccolti in vasi di terra e materie incandescenti. [...] Effettivamente essa è fatta prigioniera con undici mila uomini..! Così Pisa giacque sorpresa dal nemico e dal tradimento..! Inallora si formava quel motto: << Chi vuol veder Pisa vada a Genova! >>.
p. 83
Alberto Morosini ammiraglio veneziano comandava l'armata pisana e Umberto Doria, la genovese. Il primo scontro fu d'ambe le flotte d'egual vigoria e ferocia; il mare ne fu tutto sconvolto e videsi trasformare in un momento - così erano precipitate le mosse delle navi, - in tanti solchi spumosi e densi. Era un continuo scagliar dardi l'un l'altro, proietili, animali velenosi raccolti in vasi di terra e materie incandescenti.
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Aveva servito da prima come Paggio presso il gentiluomo Branca Doria, poi come Scudiero d'onore, titolo che si procacciava con lungo e disaggioso noviziato e che il giovinetto Catoni si aveva ben meritato; mancava solo di venir fregiato del Cingolo militare e degli Speroni d'oro – che era quanto dire: armarlo cavaliere e a cui i Doria in quella occasione si era proposto innalzare.
pp. 96-97
Dietro i fatti della festa di Salvenero, gli animi dei Sassaresi non solo, ma di tutti i Logudoresi si sentirono infocolare al patrio amore di libertà. Le parole del valoroso Capitano, Niccolò Calderai, come che avessero avuto forza di attuare il tumulto, erano poi state un irresistibile movente per quei cosi i quali non volevano più sentirne di soggezione e di tirannide. Da tutti si bramava la comune indipendenza, da tutti la caduta dell'immane Giudice che si conculcava. Parve inallora tempo ai nemici di costui di tramare la sua ben meritata rovina. Erano questi i Doria, i Malaspina, i marchesi di Massa, i quali avevano sul Logudoro antichi diritti di pertinenza. Essi adunque erano mossi da sole mire ambiziose e si collegarono con Sassari, che da suo canto voleva esentarsi da quell'annuo tributo che doveva sborsare a favore del regolo, e crearsi affatto indipendente. Epperò tutti vennero di comune accordo, si raunarono in segrete congreghe, si fecero alleanze, si fermarono patti, si congiutò. Il Giudice turritano doveva cadere vittima d'un pugnale!