Costumi
Cagliari, Tipografia del Corriere di Sardegna, 1875
Elodia e la repubblica sassarese. Romanzo storico
Marcello Cossu
pp. 37-39
In questo luogo appunto e lungo le coste del torrente si eseguiva la corsa del palio: il vallone e l'altipiano facevano agli aspettatori le veci di steccato. Dopo una mezzora circa, i vari barberi erano arrivati al sito destinato per la corsa, i graziosi fantini tosto li inforcarono, e ormai erano tutt'orecchi per ascoltare il segno che si doveva dare da un maggiore di Salvenero. Questi finalmente tolse un corno e vi soffiò forte - i fantini gridarono ad una voce: << Uno - seguì un secondo suono; e quelli: << Due - finalmente un terzo che però si perdette tra il rimbombo del terreno calpestato dai corsieri, fra un nuvolone di polvere e le grida frenetiche degli aspettatori. Eccoli, eccoli! - gridava la maggior parte di essi, - Domine aiutali; San Michele assisteteli... - Da lontano si vedevano infatti i diversi corsieri correre con un impeto straordinario e contendersi con ansia indescrivibile il primo posto avanti; quindi raggiungersi, di superarsi, quando uno quando l'altro, ma finalmente vincere quello sopra tutti prevaleva. Ben diceva io, - esclamavano tanti, - che il baio dorato di Plovace avrebbe vinto il primo premio; ecco vedetelo è arrivato già alla metà del palio. - E quì battimani e giubilanti grida - Il secondo giunge or ora; esso e il nero di Bisarcio. Domine che slanci! Gli viene appresso il buero di Sassari il griggio d'Ampurias vorrebbe raggiungerlo; ma si – aspetta un altro poco che ti farà vedere la coda.... Anche l'Isabella di Sorres aspira ad un premio [...] Al primo fu donato un drappo di costoso damasco; al secondo altro drappo di brocato ed al terzo, del velluto. Gli altri non si ebbero che parole di conforto.
pp. 52-53
Diceva questi versando un certo liquido verdastro in un nappo: - Veramente la Sardonica, mia dolce amica, l'è quel singolare veleno che si dovrebbe adoperare da ogni buon cristiano.... quando gli conviene spacciare al mondo di là, qualcuno dei suoi nemici. Figurati - essa fa venire la morte fra le risa sgangherate che è un piacere, talchè l'uomo, si direbbe trapassi contento come una pasqua! Pensa adunque se io poteva scegliere miglior veleno.... a colei, che non ne vuole sentir più di questo mondo ingrato.
p. 62
Michele Zanche si accostò ad uno scrittoio, ne tolse pergamena a cui stava unito il dovuto sigillo di piombo e si accomodò a scrivere. - Vergò alla buona tre o quattro line, le lesse e rilesse e vi appose la sua firma; poi rivoltosi al frate proseguì: - Questo è un ordine al mio castellano di Monte Acuto.
pp. 80-81
Quando a Dio piacque Guantino arrivò a Genova. Volgeva allora l'anno 1284 e la superba Repubblica cintasi or ora d'alloro per la famosa vittoria riportata sui Pisani nella memoranda battaglia nella memoranda battaglia della Meloria, festeggiava così segnalato avvenimento. Vi s'innalzavano archi di trionfo, vi si preparavano steccati per correr giostre e quintane; i gonfaloni dei Doria, dei Malaspina, dei Grimaldi, Fieschi e Spinola – tutte illustri famiglie genovesi, - sventolavano superbamente dei cospicui palagi.
pp. 82-84
Pisa dichiaratasi già nemica di Genova fomentando gli antichi rancori, incominciò l'offensiva col prendere verso il 1276 le difese d'un signore corso a svantaggio della rivale. Costei ne fu punta sul viso e si diede ad allestirsi per la rivendica. In un primo scontro ventiquattro navi pisane furono assalite e fugate. Pisa mal sopportando l'oltraggio, fece di tutto per armare cento e tre galee con le quali andò a schierarsi proprio di fronte a Genova, incitandola alla pugna con infiniti improperi e schiammazzi e gettando dentro le mura per milanteria freccie d'argento. Genova quanto mai superba e severa tutrice dell'onor suo, non appena fu in grado di mettere in mare cento venti galee, ricambiò l'insulto. Pisa ancor più inacerbita risalì sulle navi e corse sitibonda di sangue alla vendetta. Le due nemiche si scontrarono nello scoglio della Meloria che doveva dappoi eternare il fraterno eccidio, e quivi spiegatesi, dato il solito segnale, si azzuffarono. Alberto Morosini ammiraglio veneziano comandava l'armata pisana e Umberto Doria, la genovese. Il primo scontro fu d'ambe le flotte d'egual vigoria e ferocia; il mare ne fu tutto sconvolto e videsi trasformare in un momento - così erano precipitate le mosse delle navi, - in tanti solchi spumosi e densi. Era un continuo scagliar dardi l'un l'altro, proietili, animali velenosi raccolti in vasi di terra e materie incandescenti. [...] Effettivamente essa è fatta prigioniera con undici mila uomini..! Così Pisa giacque sorpresa dal nemico e dal tradimento..! Inallora si formava quel motto: << Chi vuol veder Pisa vada a Genova! >>.