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Costumi

Cagliari, Tipografia del Corriere di Sardegna, 1875

Elodia e la repubblica sassarese. Romanzo storico

Marcello Cossu

pp. 20-21
Le armi più brunite rilucevano dall'aitante sua statura: un elmetto abbronzato su cui svolazzava il pomposo cimiero difendeva la sua fronte - un giacco di temprato acciaio rilucente per brunitura e finezza di lavoro. copriva il suo largo petto - e gli scendeva al fianco una spada forbita e lucente, appesa al balteo cilestro trapuntato a fiordalisi da mano gentile e maestra.

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pp. 21-22
A fianco di questo veniva pomposamente galoppando altro leardo palafreno guidato dalle mani d'una fanciulla che si stava assisa in assai gentil maniera. Ella aveva gli occhi azzurri del colore del cielo a cui spesso volgeva per una irresistibile tendenza, i capelli biondi e lucidi come oro fuso, il viso bianchissimo d'una trasparente bianchezza, avvivato dal roseo delle sue guance, dall'ostro delle sue labbra, e illuminato da un'arcana luce che dava alla vergine l'espressione d'un angelo. Ella era abbigliata del sardo costume - e quella vivacità di colori contribuiva a porre vagamente in mostra le sue incomparabili attrattive. Aveva sul capo un abbigliamento di fino pizzo bianco d'onde traspariva l'immenso volume de' suoi capelli raccolti in trecce – e le scendea in larghe pieghe sulle spalle; al collo due filze di brillantissime perle, al busto il farsetto di brocato e il corsettino di velluto celeste lavorato a fiorami d'argento – compiva la ricca veste un gonnellino scarlato guernito da passamani in seta e da galloni in oro.

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pp. 22-24
Pertanto le campane di Salvenero e della chiesetta avevano ripresa lena. Ora si segnavano i rintocchi delle diverse cerimonie da farsi. Dentro la chiesa sull'altare maggiore, si stava apparecchiando un sontuoso faldistorio a frange d'oro tempestato a borchie ed un altro fuori dalla chiesa e vicino alla Porta Santa - che era una porticella praticata in una parete della stessa chiesa; in quest'ultimo si sarebbe dappoi l'Abbate prima di eseguirsi la solenne apertura. La chiesa era adobbata da larghi drapelloni rabescati – gli ori e gli argenti vi erano a profusione, i ceri innumerabili. Un raggio di sole penetrando dalla rotonda invetriata illuminava fantasticamente la maggior parte della navata; quivi in mezzo ad aurei candelabri disposti in bell'ordine e ad una moltitudine di popolo infervorato nella preghiera, s'ergeva il simulacro del glorioso Santo. Attorno v'erano sparsi i voti dei fedeli allusivi alla infermità da cui si era guariti, mercè l'intercessione dello stesso Santo e che consistevano in trecce da donna, in teste, in bracci – gambe e in altre membra d'uomo lavorate in legno – tinte in rosso con le macchie livide. E anche in qualche somma di denaro! All'ora stabilita si celbrò la messa con tutta pompa fra un concento di coristi e di monaci, quindi si fece la solita processione in giro del sottoborbo col simulacro del Santo, mancava d'eseguirsi l'apertura della porta Santa. Finalmente, l'abbate del monastero rivestito di abiti sacerdotali si dispone ad intraprendere l'ambita cerimonia. Egli comparisce sulla soglia della chiesa: venerando è il suo aspetto, maestoso il suo sguardo; la sua fronte è rugata per la tarda età, i suoi bianchi capelli sono cinti da un mitra di fino zendado a diamanti. Egli s'appoggiava con gravità pastorale su d'un bacolo d'argento; […] - la porta cigolando sui cardini si spalanca, un onda di popolo smanioso vi prorompe e mentre s'intuona l'inno di ringraziamento a Dio. La solenne cerimonia era qui finita. Quella porta si lasciava aperta per un mese – quando si racchiudeva – vi era concessione d'indulgenza plenaria per tutti quelli che vi erano passati. E le indulgenze inallora valevano qualche cosa!

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p. 22
La cavalcata sassarese aveva traversato per lungo tutto lo spianato della festa e poi prese a camminare sulla strada che menava al vicino villaggio di Ploaghe - un cavaliere colla celata sul viso la seguiva da lontano.

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pp. 27-29
Orsù, fratelli, corriamo da Locusta;essa che sa leggere nel futuro con quella perizia che tutti sappiamo, saprà pur dirne di quale sciagura oggi siamo minacciati. - Si, si, da Locusta, da Locusta - esclamarono tutti in coro, - corriamo da Lei, e detto fatto una numerosa folla di uomini e di donne s'avviava verso una casuccia che sorgeva in fondo del sobborgo; ivi giunta gridò a una voce: - Locusta! Locusta! Locusta era la Maliarda di Salvenero rinomata inallora in que'dintorni per il sortilegio che esercitava con tant'incantesimi e diavolerie che facevano pur troppo strabiliare i poveri gonzi di tutta quella contrada. La sua casuccia, la quale ben si sarebbe chiamata spelonca, era incespata di macchie di rovo, di virgulti e piante selvatiche ove scorrevano tranquillamente nidiate di rospi e di altri rettili schifosi; e avea attiguo un orticello coltivato a erbe medicinali. La maliarda alla circostanza, si serviva di queste piante e di que' rospi per comporre le sue malie, i sonniferi, le sue incantazioni e che so io; ond'è dal tetto della casa partiva sempre un fumo azzurrastro e pizzicante. Effetto di quelle distillazioni. Entrando poi in essa faceva orrore il vedere le paretti nere nere e quà e là disposti orribili trofei d'ossa umane, di pipistrelli, gufi e civette; nè vi mancava la magica Scopa unta con spugna di porco, con cui la maliarda poteva intraprendere viaggi lontanissimi e volare con la celerità del pensiero. [...] La maliarda o che avesse fretta di sbarazzarsi della folla o che proprio parlasse da senno fatto sta ella, vòlto uno sguardo all'ecclisse pronunciò con voce angosciosa questo funesto presagio: - La festa tramonterà tinta di sangue! E ciò detto sparì. Né la folla chiese più altro – si sbandò, ma ne viso di tutti stava impressa la mestizia.

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