Emigrazione
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
p. 80
Il giorno della partenza si avvicinava, Zia Tatàna preparava una infinità di cose, ed altre teneva pronte nella memoria: camicie, calze, dolci, frutta, focaccie lucide come avorio, pezze di formaggio, e un pollo e dodici uova col sale e vino e miele e uva passa, riempivano mano mano bisaccie, cestini e scatole.
p. 81
- Vedi dunque, tu sei ancora un bambino; a diciassette anni tu vuoi già correre solo pel mondo? Vuoi morire in mare, solo, lontano da tutti, o vuoi smarrirti in una città che tu stesso dici grande come una foresta? Va dunque a Cagliari, adesso: il signor Carboni ti darà tante lettere di raccomandazione: egli conosce tutta Cagliari: anche un marchese conosce.
p. 95
- Dunque parto zio Pera, addio: state bene e divertitevi! - Eh? - chiese il vecchio, che diventava sordo e cieco.
- Parto! - gridò Anania. - Vado a Cagliari per studiare... - Il mare? Sì, a Cagliari c'è il mare. Dio ti accompagni e ti benedica, figlio mio. Il vecchio zio Pera non ha nulla da darti, ma pregherà per te...
p. 110
Addio dunque, terra natìa, isola triste, antica madre amata ma non abbastanza perché una voce potente d'oltre mare non strappi i tuoi figli migliori dal tuo grembo, incitandoli a disertare, come aquilotti, il nido materno, la roccia solitaria.
p. 135
Tutto sparve; la vecchia che piangeva il suo esilio dalla patria diletta, la strada melanconica, la piazza in quell'ora deserta e ardente, il Pantheon triste come una tomba ciclopica; e Anania, col viso accarezzato dal vento di ponente, provò un senso di sollievo, come svegliandosi da un incubo.