Storia
Cagliari, Tipografia del Corriere di Sardegna, 1875
Elodia e la repubblica sassarese. Romanzo storico
Marcello Cossu
pp. 86-87
La chiesa era addobbata sontuosamente e vi era accorsa festante la maggior parte del popolo. Il corteo quivi giunto si era disposto in bell'ordine sull'altare maggiore. Il prelato celebrò una messa solenne e data la solita benedizione, si rivestì di piviale e di mitra e intuonò una preghiera. Poco dopo un notajo lesse a voce alta e chiara la formola adotta nell'occasione in cui si armava alcuno cavaliere. A questo Branca Doria preso per la destra il giovinetto Bartolo Catoni, lo menò a' piedi del magnate – il quale addimandò al garzone se intendeva sottoporsi a tutti gli obblighi d'un cristiano e leale cavaliere; se ciò, avrebbe sempre difesa la nostra Santa Religione Apostolica Romana, se protetti gli orfani, le vedove, l'onore delle caste donzelle; se insomma prometteva di adoperar la spada solo contro gli oppressori e in favore degli oppressi. Bartolo rispose affermativamente e lo confermò con un formale giuramento sul Vangelo. Inallora Branca allacciò al giovinetto gli Schinieri e gli Speroni d'oro, gli pose la Cotta d'armi e l'elmo, il Cingolo e la Spada e sfoderato il suo brando col piatto di esso battendogli sulla spada destra così esclamò: Io Branca Doria come cristiano cavaliere d'illustre famiglia come socio della potente e serenissima Repubblica Genovese, alla presenza di Dio e degli uomini armo cavaliere il forte e valoroso giovine Bartolomeo Catoni di Sassari, così il Signore ci benedica e protegga. - Amen! - risposero gli astanti.
pp. 96-97
Dietro i fatti della festa di Salvenero, gli animi dei Sassaresi non solo, ma di tutti i Logudoresi si sentirono infocolare al patrio amore di libertà. Le parole del valoroso Capitano, Niccolò Calderai, come che avessero avuto forza di attuare il tumulto, erano poi state un irresistibile movente per quei cosi i quali non volevano più sentirne di soggezione e di tirannide. Da tutti si bramava la comune indipendenza, da tutti la caduta dell'immane Giudice che si conculcava. Parve inallora tempo ai nemici di costui di tramare la sua ben meritata rovina. Erano questi i Doria, i Malaspina, i marchesi di Massa, i quali avevano sul Logudoro antichi diritti di pertinenza. Essi adunque erano mossi da sole mire ambiziose e si collegarono con Sassari, che da suo canto voleva esentarsi da quell'annuo tributo che doveva sborsare a favore del regolo, e crearsi affatto indipendente. Epperò tutti vennero di comune accordo, si raunarono in segrete congreghe, si fecero alleanze, si fermarono patti, si congiutò. Il Giudice turritano doveva cadere vittima d'un pugnale!
pp. 107-108
Quando fu fatto grandicello, Niccolò venne inviato a Genova per studiarvi le lettere e per ornarsi di quelle virtù, che non dovevano, a que' tempi, andar disgiunte da ogni ben nato giovinetto. Ivi il fanciullo crebbe fra la moltitudine d'arditi e valorosi giovani e fra quel moto bellicoso della superba Repubblica – bramosa mai sempre d'allargare i suoi dominii e di coprirsi di gloria. Onde fu dato modo al giovinetto di formarsi un cuore generoso ed un animo forte e grande. Infatti egli fu riputato degno di esser ammesso alla Scuola nautica cotanto rinomata e in cui per singolar suo merito, ottenne il grado di Sottomastro di nave. Tant'è, Genova ammirando in lui un ardito nocchiero e voloroso capitano, lo addottò più volte sull'Oriente in quelle frequenti guerriglie, che si facevano le rivali Reppubbliche. […] I concittadini lo ammisero subito nel Consiglio Generale della Comune e lo nominarono Capitano delle Milizie. A lui furono affidate le cure più gravi, in lui la patria confidava ogni suo brillante avvenire.
p. 112
Quei cani sguinzagliati – faceva egli – sono sassaresi, perocchè essi s'acchetarono all'intimazione di Niccolò Calderari capitano delle loro milizie.
p. 118
Noi diremo alcune parole su questo Etiopo, che ne dovrà assai interessare. Egli era nativo della Libia ed un giorno era ricco e potente; ma la sua stella lo volle misero schiavo. In un funesto scontro che egli ebbe coi Giannizzeri del Soldano, fu fatto prigioniero, trasportato in Oriente e ivi venduto. Caso volle che Federico passando in quelle incontrade lo vedesse e, trovandolo robusto e forte, non che calcolando sulla fedeltà del moro verso il suo padrone e sul terrore che incuteva nei Sardi così fatta genìa, lo comprasse ed accomodasse a suo servigio.