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ENRICO COSTA


L’anno 1878
Enrico Costa

FANTASIA

Oh, come lamentosi mi scendono oggi al cuore quegli undici rintocchi lenti, misurati, monotoni!
In seno ad una fredda notte senza stelle, mentre la pioggia batte ai miei vetri, ed il lucignolo della mia lucerna crepita allegramente, io levo gli occhi al quadrante del mio orologio. Esso mi ha chiamato colla sua voce stridula e argentina.
Quei rintocchi sono quelli di un'agonia. L'anno 1878 manda gli ultimi rantoli.
Anno infelice! - tu ti appresti a raggiungere i tuoi compagni, caduti negli abissi del tempo - in quegli abissi dove tu non sarai che un attimo.
Quante speranze, quanti progetti, quanti sogni riposti nel tuo seno dall'infelice stirpe degli umani, hai tu perfidamente distrutto nel breve giro di dodici mesi! - Con quanta trepidanza furono ascoltati i tuoi primi vagiti! - di quante lagrime si circonda oggi il tuo letto di morte!
Ancora sessanta minuti, e tu apparterrai al passato. La Storia ti accoglierà nel suo seno e peserà le tue azioni; perocché gli uomini, preda delle passioni, non potranno pronunciare su te il loro giudizio. Tu sfuggi agli uomini - ma non sfuggirai alle pagine di quel Gran Libro, su cui la Storia registra i suoi fasti.
Tu passasti rapidamente per chi visse fra le delizie di una vita comoda e agiata; altri invece contò giorno per giorno, ora per ora, la tua lunga esistenza.
E sei pur fortunato nella tua sventura! Tu lascerai nel tuo passaggio orme incancellabili; perocché nel tuo seno porti impresse tremende memorie, troppo dolorose per la nostra madre - l'Italia...
L'indice dell'orologio pare immobile sul quadrante; eppure cammina, cammina sempre!
Addio, Settantotto! - tu sfuggi verso la tomba, quantunque i battiti del tuo polso siano sempre regolari.
Tu sei l'anno dei Grandi morti. Nel tuo se3no spira no personaggi illustri - illustri per grandi virtù e per grandi vizî, per gravi colpe e per gravi errori.
Mentre tu mandi gli ultimi aneliti, io passerò in rassegna i tuoi avvenimenti. O anno funesto, lascia che io frughi fra le tue tombe!
***
Il Re galantuomo - colui che raccolse uno scettro sui campi insanguinati di Novara per portarlo sul Campidoglio; il fortunato Re sotto il cui regno si svolse il gran periodo dell'indipendenza italiana, agognata da venti generazioni e suggellata col sangue di mille martiri; quel Re che è simbolo della unità nazionale e incarnazione della nostra libertà; quel Re scese nella tomba - la morte, inesorabile, lo colpì come gli altri - e tu, anno funesto, lo accogliesti nel seno, fiero di quella preda che basta, sola, a renderti immortale.
Ma i Re non muoiono, né quando li uccide Iddio, né quando li uccide l'uomo - essi muoiono quando li uccide il popolo.
E il popolo gridò: Viva Umberto! - e questo grido eccheggiò sulle rive del Tevere e si ripercosse per i lidi d'Italia; - e tu, anno funesto, accogliesti nel tuo seno l'ultimo giorno di Regno di Vittorio Emanuele, e il primo di Regno di Umberto. Due giorni in uno! - strano capriccio della sorte! - volubilità degli umani eventi! Sempre la vita sulle soglie della morte!
Non incolpate il destino. Iddio non può, né deve ascoltare la preghiera dei marinari - perocché, il vento che è propizio alla nave che parte, è sempre contrario alla nave che arriva. Guai all'uomo che tenta di indagare i decreti di Dio! - Dio è grande ed eterno - gli uomini sono piccoli e mortali, e non possono intenderlo. Chi mai può negare lo spazio? E pertanto dov'è l'uomo che può concepirlo? La nostra mente ha i suoi limiti - il nostro intelletto è circoscritto - la scienza è una irrisione. Contentatevi della vostra grandezza relativa - sopra l'uomo è Dio - sotto l'uomo è il bruto!
Ed io guardo l'indice del mio orologio che sembra immobile sul quadrante, eppure cammina, cammina sempre!
***
E Pio IX, il Principe della Chiesa, che, amico o nemico, seguì passo passo tutti i fasti della redenzione italiana, dalla caduta di Novara all'esaltazione di Roma; il venerando Vecchio che vide l'Italia sorgere gigante dalle sparse membra dilaniate dal dispotismo straniero, chiuse gli occhi al sonno eterno.
Perocché la morte non rispetta né Re, né santi.
E tu, anno funesto, lo accogliesti nel tuo seno per serbarlo alla Storia - perocché agli uomini non è dato giudicare i Papi - né Dio svela i suoi misteri alla terra. I Re si lamentano qualche volta dei loro ministri - Dio non si è mai lamentato dei suoi.
E il popolo non ebbe tempo di piangere, o Pio! Perché dovette prepararsi ad acclamare con gioia il tuo successore - quel Leone XIII che oggi occupa il tuo seggio, veste i tuoi panni, siede alla tua mensa e passeggia nelle tue sale.
Il Vaticano inghiotte i Papi, senza che una sola linea si cangi nell'armonia della sua superba architettura.
Va tu pure, povero Vecchio, ad aspettare il giudizio della Storia - è l'avvenire che peserà le tue azioni...
E il pendolo del mio orologio oscilla, sempre regolare, mentre l'indice cammina, cammina sempre!
***
Una fanciulla giovine, bella, gentile, e tanto buona coi poverelli - il cui nome è quello del più grazioso e modesto fiore dei prati, cinse sulla pallida fronte una corona di Regina, mentre un raggio di sole nascente si confondeva co' suoi capelli d'oro, ed un lembo di cielo italiano si rifletteva sulla sua pupilla, melanconicamente serena: in quella pupilla che rivela la soavità di un'anima gentile e la bontà di un cuore generoso. Giovine tanto, e bella, tu la salutasti mentre saliva al trono, o anno SETTANTOTTO; e tutti gli Italiani ebbero per lei un saluto ed un sorriso perché dinanzi alla modestia, alla bontà ed alla bellezza il popolo si prostra sempre e benedice!
E un'altra donna, bella e giovane, depose invece sulle sponde del Tago la sua corona di Regina. Aveva diciotto anni, e da pochi mesi era sposa del giovine Alfonso XII di Spagna.
Povera Mercedes! Tu amavi più la tua corona di fiori d'arancio che quella d'oro. I tuoi sogni eran tutti color di rosa. Inebbriata dal sorriso d'amore non curavi quello del trono. E che cosa è un trono, quando nell'anima fervono le febbri dei vent'anni e la natura parla al cuore col fascino della giovinezza e coll'incanto della primavera?
Povera Mercedes! - tu hai deposto la corona senza dolore, senza rimpianto. Distesa sul tuo letto di morte, colla mano fra le mani dello sposo, i tuoi occhi chiedevano avidamente agli occhi del tuo diletto la vita - quella vita che da te fuggiva. E quando il cardinal Moreno ti domandò se ti doleva di lasciare il mondo, tu gli rispondesti con angelica rassegnazione: "- si, me ne duole per Alfonso, per mio padre per mia madre! -". Né il pensiero del trono attraversò un solo istante la tua mente, o santa creatura! - Il tuo Regno non era la Spagna - era il cuore di Alfonso. - Ed ora tu riposi là, fra le tombe dei re, sotto gli archi silenziosi dell'Escuriale!
E tu, anno SETTANTOTTO, che salutasti sorridendo una bella Regina sulle sponde del Tevere, mandasti un mesto saluto ad un'altra giovine Regina sulle sponde del Tago.
Due nomi furono pronunciati: - Margherita! - Mercedes!
Esultò Roma - pianse Madrid!
Bellezze e bontà, gioventù e cortesia, voi sole avete l'impero del mondo - per voi sole sono i sorrisi, per voi sole sono le lagrime di un popolo!...
Ed io mando a voi un mesto saluto, o bionde Regine, mentre il mio occhio si fissa smarrito sull'indice dell'orologio che cammina, cammina sempre!
***
E tu, Alfonso Lamarmora, o gran generale, o eroe della battaglia di Pastrengo; tu che guidasti gloriosamente il nostro esercito sui piani della Cernaia; tu che consacrasti gli ultimi mesi di vita alla beneficenza, tu pure cadesti in seno all'anno funesto! - tu pure aspetti dalla Storia la luce promessa sui tristi avvenimenti di Custozza - l'avvenire toglierà forse dal tuo nome la macchia che gli uomini vi posero!
E tu moristi, o Federico Sclopis, o allievo di Boucheron, grande letterato e politico, illustre giureconsulto, nobile cittadino che Carlo Alberto volle fra i suoi ministri.
E tu, Giorgio Pallavicino, venerato patriotta, intemerato vecchio dal saldo carattere; tu che dimentico di un nome illustre sacrasti alla patria agi e ricchezze: tu superstite del Ventuno, che soffristi dieci anni di carcere nello Spielbergo, insieme a Pellico, a Maroncelli ed a Confalonieri - tu pure scendesti nella tomba che ti scavò l'anno fatale, già presso a morire!
E il pendolo dell'orologio, lento, monotono, cadenzato, continua il suo movimento; e l'indice impercetibilmente cammina; - e tu cammini verso la tomba, quantunque i battiti del tuo polso siano regolari, o anno SETTANTOTTO!
***
E tu, Angelo Secchi, illustre scienziato, che sdegnoso di una terra ingrata non volevi leggere che nel libro dei cieli; tu che volavi di stella in stella per interrogare i misteri dell'Universo; tu che t'ispiravi nell'eterna luce del sole, tu pure riposi in grembo al SETTANTOTTO!
E tu, Vecchio venerando, o Giovanni Spano; tu che sdegnoso dei vivi, che ti amareggiarono la vita, frugavi nelle viscere della terra per evocare i morti; tu che interrogavi la polvere di cento secoli; tu che costringevi le pietre a svelarti i misteri delle generazioni passate - tu pure pagasti il tributo dell'anno vorace, di cui io canto l'agonia; esso abbatté con lieve fatica il tuo povero corpo già logoro dagli anni e dalle lunghe veglie; tu pure cadesti, perocché la morte non rispetta né Re né santi, né generali né scienziati!...
E il tempo fugge, fugge sempre sull'immobile quadrante del mio orologio!
***
E tu, anno fatale, spezzasti la lira del più gentile dei poeti. Ad Aleardo Aleardi, il cantore di Maria e della Fornarina, ultimo poeta del cuore e dei sereni affetti, tu donasti la morte. E sulla sua tomba, i seguaci di una scuola detta del realismo, gettarono, ultimo saluto, l'irrisione, quasi facendo colpa a quel caldo patriotta dei suoi affetti gentili e dei suoi generosi sentimenti. - Sempre lo scherno, sempre l'insulto, sempre l'ingratitudine sulla tomba dei grandi! - Ma i tuoi canti, o Aleardi, vivranno eterni nel cuore degli Italiani; perocché lo steso vento che atterra il fiore ne porta in giro il profumo - quel profumo che è l'anima della primavera, e, come l'anima, è eterno.
E tu pure, Tranquillo Cremona, percosso dall'anno fatale, scendesti nel regno delle ombre. Artista dai liberi e arditi voli, creasti una nuova scuola. Il Falconiere, la Tradita e l'Edera sono rimasti fra noi per attestare il tuo genio. - Vivesti sempre povero, e il tuo nome fu quasi sconosciuto. Tu donasti coi colori la vita alle tele - ed i colori ti tolsero la vita. - Le tue opere immortali sono esposte là, nel Ridotto del Teatro alla Scala, ed ognuno ammira quelle creazioni divine, plaudendo al tuo genio, fino ad oggi incompreso. Tutti ti esaltano or che sei morto, perché non hai bisogno di loro - vivo non ti curarono. Ammirazione superba, vana, ridicola! - Gli uomini furono con te perfidi ed ingrati, come i colori che tu stempravi imprudentemente sulla mano!...
Cammina, cammina, o indice, sul quadrante dell'orologio! - Il tempo incalza; esso si avanza a gran passi per divorare l'anno fatale.
***
E tu, Domenico Induno, figlio di popolano, valente pittore di genere che godesti l'amicizia dell'Hayez e del D'Azeglio; tu che colla Questua, col Bollettino della resa di Roma, col Dolore del soldato e col Pane e lacrime ti rendesti immortale; tu che, vivo, fosti tanto onorato dagli Italiani e dagli stranieri, seguisti nella tomba il tuo fratello d'arte: Cremona.
E tu, maestro d'armonie,Federico Ricci, autore delle Prigioni d'Edimburgo e del Corrado d'Altamura.
E tu, Temistocle Solera, poeta gentile condannato alle privazioni; tu librettista e romanziere, letterato e giornalista, musicista e cantante, ambasciatore e in ultimo questore, tu pure fosti una vittima del SETTANTOTTO; e te ricorda il popolo quando ripete i versi del tuo Nabucco, dei tuoi Lombardi e del tuo Attila, vestiti delle armonie di Giuseppe Verdi.
Moriste tutti; perocché la morte non rispetta né Re, né Papi - né generali, né politici - né scienziati, né poeti!...
E l'indice del mio orologio cammina, cammina sempre. Nel solenne silenzio della notte, mentre la pioggia batte ai miei vetri, sento lo stridolo scatto di una molla; ed un suono secco, argentino, muore in un lamento. Il vento, dalle fessure delle imposte, risponde a quel suono con un gemito che pare un sogghigno...
L'orologio ha segnato la mezz'ora!
La tua morte si avvicina, o SETTANTOTTO! Tu schiudesti la tomba a Re, a dotti, a grandi artisti - e l'eternità schiuderà a te la tomba. Tu uccidesti, e sarai ucciso. Nessuna cosa è eterna nel mondo! - forse neppure il tempo!!!

***

E quanti altri avvenimenti nel tuo seno, o anno funesto!...
E David Lazzaretti, là, sulle alture della sua Arcidosso, duce e consigliero di turbe ignoranti e fanatiche, nuovo Messai, volle predicare la libertà ai popoli della terra; ma il piombo della Benemerita, in nome della Giustizia, lo colpiva in mezzo alla fronte, non rispettando i segni mistici in essa tracciati. - Va tu pure nel Regno dei morti, insensato od astuto, martire o forsennato, impostore o profeta. Avrai tu pure il tuo giudizio. Oggi gli uomini non potrebbero giudicare se eri malato di mente o di cuore. Il solo piombo potrebbe svelarlo, poiché penetrò nel laberinti della tua intelligenza; ma può il piombo rivelare i misteri del tuo cervello?
Hoegel e Nobiling contro il vecchio Imperatore di Germania - Juan Oliva y Moncasi contro il Re di Spagna - Giovanni Passanante contro il Re d'Italia. - La vita di tre Sovrani d'Europa attentata dal cieco fanatismo o dalla brutale ferocia di tre assassini. E tu hai voluto macchiarti d'infamia, o anno SETTANTOTTO, ed avesti la maledizione dell'umanità; perocché non è coll'assassinio che i popoli aprono il varco alle libere istituzioni. La splendida luce della vera libertà, immacolata come il pensiero di Dio, squarcia le dense tenebre dell'errore e del servilismo, e si fa strada per virtù propria. Onda pura e benefica, scorre, serpeggia, si inoltra fra le sterili praterie, irriga le squallida valli, e vi apporta la fertilità e l'abbondanza. Guai all'incauto che tenta arrestare o accelerare il suo corso! I fiumi non tornano indietro - essi cercano e seguono le pendenze naturali, e corrono al mare; arrestati straripano e trascinano nei loro vortici uomini e cose, apportando la distruzione e la morte.
Bontà di cuore e rettitudine di mente - educazione e istruzione - ecco le vere fonti di questa luce divina e di quest'onda benefica! - La madre e il maestro - ecco i due cardini della società, i due grandi apostoli della civiltà e del progresso! - O Ministri della Nazione, proteggete il maestro! - o poeti dell'avvenire, non insultate la donna!
Perché gettare la pietra sugli scanni del Parlamento? Rispettate chi è fatto, a nostra immagine e somiglianza! - Il Parlamento è l'espressione delle anime nostre, è lo specchio fedele che riflette le nostre basse passioni, le nostre ingordigie, le nostre colpe, le nostre licenze. E sono le cattive madri e i cattivi maestri che portano al Nazionale Consesso le coscienze corrotte, i caratteri deboli, le transazioni vigliacche e le immoralità schiffose. - Chi insulta la donna insulta la madre - chi insulta la madre insulta la famiglia - chi tradisce la famiglia tradisce la Nazione...
Cammina, cammina, o indice del mio orologio - non prolungare più oltre l'agonia di un povero moribondo. Prima di morire lascia che egli confessi i suoi peccati.

***
Ed io ti saluto, o giovine Umberto - stirpe di re che hanno versato sui campi di battaglia. Il battesimo del fuoco purifica le anime - Io t'amo perché tu ami l'Italia di vero amore - perché sei un Re cittadino, un Re popolano, un Re che ami le arti e le scienze. E ti amano molti - ma tu ignori i nomi e fors'anco l'esistenza di coloro che più t'amano; perocché non è colle stereotipate proteste, né colle dimostrazioni in marsina che si amano i buoni, i giusti ed i grandi reggitori dei popoli. L'amor vero è calmo, sereno, espansivo - esso è alimentato da quella viva gratitudine che è la più grande ricompensa al benefizio, alla bontà, alla giustizia. Sii buono, sii giusto e sii benefico, ed avrai quell'affetto che è lo scudo più saldo che un popolo possa dare al suo Reggitore. - L'amor vero è timido, modesto, e sdegna ogni manifestazione di piazza - esso non è una virtù, non è un dovere - è un bisogno del cuore - una tendenza dell'anima verso il buono, il giusto e l'onesto. Il fanatismo religioso ci allontana da Dio - il fanatismo monarchico ci allontana dai Re. Il bigotto crea l'ipocrita - il cortigiano crea l'ingrato. Chi adula mendica favori, ed è un egoista. Le dense nuvole d'incenso ci nascondono l'immagine di Dio e quella dei grandi benefattori. Amore vuolsi, ma amore saldo - quell'amore che non si accresce per un'onorificenza, né scema per un torto ricevuto. La vera gioia non ha bisogno d'insegna alla finestra, come il vero dolore non ha bisogno di lutto al cappello. Sii giusto, sii benefico e liberale, e sarai amato. Guai al rispetto che s'impone colla forza! - Scendi in piazza, e interroga i suoi palpiti. Gli italiani non dimenticheranno d'essere tuoi sudditi, se tu non dimenticherai d'esser suddito dell'Italia.
E Passanante è un volgare assassino. Preoccuparsi troppo di costui è innalzarlo. Stigmatizzare con uno sdegno esagerato una turpe azione, non ridonda troppo ad onore dell'umanità. Vi sono azioni sì vili, che il vantarsi di provarne ribrezzo è già un indizio di digradazione morale - come è indizio di corrotti costumi e di coscienza debole innalzare al grado di virtù l'onestà, la quale non è che il più semplice dei doveri. Nella nostra Camera Subalpina, il titolo di onesto, dato come menzione onorevole ad un uomo politico, sarebbe stato un insulto!...
Ma l'indice dell'orologio cammina: ed io siedo al capezzale del tuo letto di morte, o anno SETTANTOTTO.
***
E tu, Benedetto Cairoli, splendida figura del patriotta italiano; tu, avanzo di una nobile famiglia; tu, che puoi mostrare con dolore ed orgoglio le quattro tombe dei tuoi fratelli morti combattendo per l'Italia, fosti scelto dal giovine Umberto per suo primo Ministro - e versasti il tuo sangue per salvarlo dal pugnale di un assassino. - La Nazione, dopo nove mesi, ti ha dato un voto di sfiducia. Strano fatto! - un Re liberale ti volle al fianco, e i rappresentanti del popolo ti scacciarono accusandoti di aver ecceduto nella libertà. Non s'ingannò dunque chi scrisse, che il più liberale fra gli Italiani è Umberto di Savoia!...
Anche tu, Cairoli, avrai il tuo giudizio dal tempo!
Ma l'indice sta per segnare l'ora per te fatale, o SETTANTOTTO! - E, come spire di fumo, or nere, or azzurrognole, ed ora tinte dei riflessi di uno splendido sole, vedo sfilare a mille a mille gli avvenimenti raccolti nel tuo seno; - essi s'inseguono, si incrocciano, si confondono, e svaniscono nell'ombra o nella luce. La mia mente si turba - e non posso seguirli nella loro corsa rapida e vertiginosa.
***

Vedo la festa dell'Arte, là, nel Campo di Marte, sulle due sponde della Senna, dove i popoli del mondo, ospiti della Francia, si stringono la mano sotto il vessillo della Repubblica;
E vedo i disastri di una guerra brutale fra Turchi e Russi - e vedo lo sconforto e la desolazione nella Bosnia e nell'Erzegovina - e il massacro dei Cristiani, fatto dai figli di Maometto - e le depredazioni, e gli oltraggi al pudore, e lo sgozzamento di vecchi e di fanciulli. - Caso curioso! - il sole della civiltà è tramontato all'Oriente;
E la famosa commedia del Congresso di Berlino, il quale, volendo gridar pace, riuscì a fomentare nuove guerre;
E il centenario di Voltaire a Parigi - e quello di Rousseau a Ginevra;
Da un lato l'Italia che, dimenticando il suo primato nell'arte dei suoni, applaude freneticamente le operette francesi - e dall'altro la Francia, che, superba o insensata, vende ad una società di speculatori il Gran Teatro dell'Opera italiana. Roma ride alle pagliacciate di Calcante, di Aristeo e di Pomponet - Parigi demolisce il sacro Tempio immortalato da Rossini, da Bellini e da Donizzetti;
Da un lato Edison, che col fonografo riesce a fotografare la parola - dall'altro l'Austria che colle manette non riesce a far tacere la figliastra Trieste, la quale non le parla che della sua vera Madre;
Da un lato il Dandolo, che sapendosi guardato da una bella e giovine Regina non vuol bagnarsi nelle acque della Spezia per eccesso di pudore - dall'altro i canti spudorati dei moderni Aretini che fanno arrossire le guancie delle nostre fanciulle;
Da un lato le strade di ferro che si prolungano per vincolare le Provincie sorelle - e dall'altro il capitano Salvi che percorre sopra una cavalla sarda novecento chilometri in dieci giorni;
Da un lato il conte Torelli che inneggia alla protezione delle bestie per gettare un seme che germogli a un benefizio dell'uomo -dall'altro le bestie umane che tagliano le donne a pezzi e ne seppelliscono le membra palpitanti nei campi e nelle piazze;
Da un lato il prete Mattia che trova il mezzo di carpire legalmente due milioni al Governo - e dall'altro ignoti ladri che, vincendo Mattia, trovano il mezzo di carpirne due e mezzo alla Banca Nazionale;
E i Circoli Barsanti - e gli scioperi, e le bombe all'Orsini - e le innondazioni, i naufragi e gli incendi - e i programmi che non si mantengono perché fatti nei banchetti, dove si beve e si ciarla molto - e gli usurai che parlano di patriottismo - e gli speculatori di coscienze che parlano di morale - e i molti giornali che si comprano e si vendono ¬ e i pellegrini che arrivano, e i cassieri che scappano - e la scala cromatica delle innumerevoli opinioni - e il diluvio delle croci d'Italia su petti di cartapesta - e il trionfo del rewolver che salda le partite dei debiti e dell'amore - e mille e mille altri avvenimenti che sfuggono alla mente ed alla penna, perché il tempo incalza, e l'indice dell'orologio segna la sentenza di morte dell'anno SETTANTOTTO!
Cammina, cammina, o indice inesorabile!
***
E tu, Sardegna, quali ricordi serberai del SETTANTOTTO?
Una dolorosa memoria - la morte del più diletto fra i tuoi figli: l'archeologo Spano.
Una gloria: - Ferracciu, il fiero figlio delle tue montagne, innalzato alla carica di Ministro della Marina.
Ed onori? - nessuno!
Nessuno? - oh si - uno solo: - una fortunata circostanza fece parlare di te favorevolmente; ma non è all'ingegno degli uomini che tu devi questo fatto - lo devi ai garretti di una cavalla! È proprio il caso di dire, che la bestia talvolta arriva dove non arriva l'uomo!
***
Cammina, o indice, verso l'istante fatale!
E tu, anno SETTANTOTTO, muori pur tranquillo, or che mi hai rivelato le tue tombe illustri. Io non fui teco troppo indiscreto: perocché tu scendi nel sepolcro portando con te molti e molti altri misteri!
Chi sa dirmi i nomi dei grandi operai della penna e del martello, che riposano sconosciuti sotto la terra?
Chi sa dirmi i nomi degli infelici che lottarono colle privazioni, e che onorarono veracemente la patria, senza però menarne vanto, perché colla ferma coscienza di adempiere ad un dovere?
Chi sa dirmi il numero dei veri onesti che dormono l'eterno sonno, dopo una vita di sagrifizi e di abnegazione?
Poveri grandi! Nessuno conosce i vostri nomi; per voi non necrologie, non marmi, non lagrime!
Chi sa dirmi le colpe e le infamie sottratte coll'astuzia, coll'oro, o col prestigio di un nome potente, alle rigorose pene di una giusta Giustizia?
Chi sa dirmi il numero dei vizî onorificati sotto il nome di virtù - e il numero delle virtù punite sotto il nome di vizî?
Misteri, misteri!
Una parola ancora, o SETTANTOTTO, prima di piombare nell'eternità! Non voglio più sapere dei tuoi morti - parlami dei tuoi nati.
Chi sa dirmi i genî che si celano fra quei deboli corpi che vagiscono, attaccandosi colle avide labbra al seno delle madri e delle balie?
Ognuno di quei pargoli può celarmi un gran politico, un gran capitano, un grande artista. - Quei nati rappresentano l'avvenire del mondo ...
Silenzio... silenzio. È arrivato il terribile momento.
Ecco... l'orologio suona.
Sono dodici colpi che scoccano, lenti, monotoni, lamentosi.
Mezzanotte!!!
La vecchia posa il capo nel seno dell'infanzia: - la fine muore nel principio.
O SETTANTOTTO, addio! - tu sei sparito.
Addio! Io non posso piangere la tua morte, perocché devo andare il benvenuto all'anno nascente; né mi conviene muovergli incontro colle lagrime agli occhi e col lutto al cappello. Bisogna rispettare le convenienze sociali. Coll'etichetta non si transige.
Il tempo fugge, l'uomo muore, e la natura non ti parla che di vita. Sempre la vita sull'orlo delle tombe!
E tu, anno fatale, hai seguito il comune destino.
Alla morte di Vittorio Emanuele rispose un grido di vita: - Gloria ad Umberto!
Alla morte di Pio IX s'intese un grido di gioia: - Viva Leone XIII!
E alla tua morte io sento gridare da tutti: - Viva il 1879!
È proprio fatalità! - non abbiamo tempo di piangere i nostri morti!

 

 

 
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