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ENRICO COSTA


Don Pasquale
Enrico Costa
 

CICALATA TEATRALE

Il  Don Pasquale è uno di quei rari gioielli di cui va giustamente superbo il repertorio musicale italiano - uno di quei lavori a intarsio, a cui non potresti aggiungere né togliere una nota senza guastarlo. È un'opera che vanta duetti e terzetti stupendi, pezzi d'insieme ammirabili, un quartetto che è un vero capolavoro. - La favola poi è semplicissima - una di quelle commediuole alla Goldoni, tutta brio, tutta grazia, tutta spontaneità, tutta morale. A soli quattro personaggi è affidata l'azione, la quale si svolge e corre allo svolgimento spontaneamente, per mezzo di comiche situazioni. E nella semplicità della tela sta forse la difficoltà di questa musica così ben riuscita; la qual musica, senza lusso di cori, senza quel soverchio lavorìo di strumentazione che assai spesso finisce per soffocare la melodia, sa ottenere effetti così potenti.

Diciamolo francamente - forse a questa stessa semplicità si deve ascrivere la poca espansione di una parte del nostro pubblico per il Don Pasquale - e questa parte di pubblico forse non ha torto. - Abituati agli spettacoli eclatants, alle forti passioni, ed ai fragori assordanti, noi facciamo un po' di muso alla troppo fedele interpretazione della natura vergine (passatemi l'espressione) e dei costumi troppo patriarcali; ed esclamiamo con evangelica rassegnazione e con tono di generoso compatimento; - è un'operetta di ripiego! - Ed abbiamo un sacco di ragioni. - Noi moderni rifuggiamo dalla semplicità. - Il nostro è il secolo delle chincaglie. Dalla fragile donna che adora i cinti di metallo e le borse medioevali, e i ventagli a pugnale; che taglia le sue vesti a camicia per tempestarsi di pieghe e di sbuffi; che ha tanta smania di frangie che riduce a frangia anche i capelli sulla fronte - fino all'umile cuoco che appresta con mille intingoli e mille salse le sue rape e le sue zucche, tutta l'umanità ha la febbre degli ornamenti e delle decorazioni! Le scienze, le lettere e le arti, esse stesse subiscono l'irresistibile fascino, perché vivono del secolo, anzi è il secolo che le crea a sua immagine e somiglianza.

Torniamo al teatro.

Il Don Pasquale è uno dei più splendidi parti di Donizzetti - dell'immortale Bergamasco che ha trattato tutti i generi di musica, sacra e profana, tragica, comica e semiseria, e in tutti i generi fu sommo - del celebre maestro e poeta che in soli 25 anni, oltre 66 opere, ha scritto 113 pezzi fra cantate, duetti, terzetti, notturni, romanze, musica per chiesa, sinfonie, concerti, ecc. - di quel Genio potente la cui fecondità nello scrivere ha del miracoloso - che ha scritto la Borgia in 25 giorni, l'Anna Bolena in 20, l'Elisir d'Amore in 10, e il Don Pasquale in soli 9!

Il Don Pasquale è fra le ultime opere scritte da Donizzetti - esso venne dopo la Linda, e per conseguenza dopo l'Elisir, il Torquato, il Belisario, la Maria di Rohan, la Borgia, la Gemma, la Lucia, la Favorita, il Roberto, il Poliuto, il Marino Faliero, ecc. - Fu rappresentato la prima volta al Teatro Italiano di Parigi il 4 gennaio 1843 ed ebbe per interpreti la Grisi, il Lablache, il Tamburini e il Mario - quattro celebrità!

Credo fare cosa grata ai lettori riportando alcuni brani a proposito del Don Pasquale, che tolsi dalle notizie e documenti intorno a Donizzetti, pubblicati da Alborghetti e Galli in occasione delle onoranze funebri fatte a Bergamo per la tumulazione degli avanzi del gran Maestro.

 

"... Frattanto gl'impresari, gli artisti e gli amici si affollavano intorno a Donizzetti pregandolo a scrivere uno spartito nuovo per Parigi prima di restituirsi a Vienna; e chi allora più lo stringeva era il Direttore del Teatro Italiano, che invocava a mani giunte un'opera buffa. Il meschino aveva sempre fatto cattivi affari per lo addietro: si era rimpennucciato discretamente colla riproduzione della Linda; ora per rimettersi a galla del tutto domandava uno spartito nuovo di zecca, che col nome di Donizzetti avrebbe fatto rigurgitare d'oro la cassetta...

Finalmente per compassione del semi-rovinato impresario si arrese, ed un dì gli disse: Non mi seccare più oltre. Entro tre mesi ti dò l'opera buffa. Ti costerà una miseria, perché non richiederà spese di sorta, e ci metto la poesia di sopramercato.

 

Tale era infatti il suo divisamento, e l'impresario gongolante di gioia diede fiato a tutte le trombe per annunziare il favore ottenuto. Ma il Maestro intanto che aspettava da Napoli un libretto vecchio su cui gli era venuto il ghiribizzo di fare egli stesso delle racconciature, e dettar la musica, lasciò passare un mese, e poi distratto secondo il solito ne perdette altri due, ed insieme anche la memoria dell'impegno preso; e quando il desolato impresario si arrischiò a sollecitarlo parve cascasse dalle nuvole - Ah, mancano 25 giorni? Bene! Non ce n'è d'avanzo? T'ho detto, che non hai di apparecchiare nulla. Io in 5 giorni rattoppo la poesia: in 10 faccio la musica; altri 10 di prove... e si va come olio. Siamo intesi.

E così, datosi attorno ad un libricciuolo che un 30 anni addietro era stato musicato in modo orribile a Milano, ma che pel soggetto gli era piaciuto tanto d'averne sempre di poi conservato un briciolo di reminiscenza, lo accorciò, lo corresse, lo piegò, e lo ridusse nelle scene e nei versi, a proprio modo; gli cambiò il nome di Ser Marcantonio in Don Pasquale, e fattavi sopra non in 10, ma in 9 giorni la musica, la portò alle prove appunto in sul finire di decembre 1842.

Del Don Pasquale il chiarissimo Alberto Mazzucato non esitò a scrivere nella "Gazzetta Musicale" che:  è un capolavoro da cima a fondo. - Il Deleclùze, critico del "Journal des Dèbats", diceva sotto la impressione delle prime audizioni le seguenti parole:

"Dai Puritani del Bellini in poi, nessuna opera scritta appositamente nel Teatro Italiano non ebbe più clamoroso esito. Quattro o cinque pezzi ripetuti, chiamate dei cantanti, chiamate del Maestro, insomma una ovazione de quelle che in Italia si prodigano a dozzine anche ai più mezzani compositorelli, ma che a Parigi si riserbano ai soli e veramente grandi!"

Riprodotto quasi subito dopo a Bruxelles, a Berlino, a Vienna, il Don Pasquale ottenne in tutti quei grandi teatri applausi incontestati, ed un giornale di Vienna ebbe a dire:

"Tutti rimasero meravigliati come l'istessa mente abbia saputo ad un tempo immaginare le gravi salmodie del Miserere, e le vivaci note del Don Pasquale. Vennero replicati due duetti ed un coro, e si sarebbero fatti replicare gli altri pezzi dello spartito se non si avesse avuto timore di stancare troppo gli esecutori. La musica dal principio alla fine è un incanto per soavità, freschezza e brio di melodie, e per eleganza di strumentazione. Donizzetti vuol essere tenuto pel ristauratore della vera musica buffa, che arrecò un giorno, in altri tempi, un insperato onore alla scuola italiana".

Del resto anche pel Don Pasquale il giudizio più autorevole è quello che ne dà la sua storia. Dopo 30 anni quella musica spiritosa, gaia, spontanea, ed adorna con sì varie e squisite finitezze d'arte, brilla ancora col Barbiere di Siviglia, coll'Elisir d'Amore, e con altre pochissime, dal buio in cui sono sprofondate a centinaia le altre opere buffe. - E ciò che è strano, e confonderà sempre il criterio di coloro che amano filosofare sul genio meraviglioso di Donizzetti sarà questo fatto; cioè, che le due più belle creazioni di quel genio nel genere buffo gli costarono, si può dire, nulla più che la fatica di scriverle, poiché furono composte, l'una e l'altra, ad un dipresso in una settimana!...

Dire che i viennesi lo accolsero con dimostrazioni straordinarie ed unanimi di ossequio e di affetto parrà un'esagerazione, tanto più a chi pensi quanto misurata e poco espansiva sia la natura delle popolazioni tedesche che stanno in questo riguardo al polo opposto degli italiani e dei francesi.

Eppure leggiamo nei giornali austriaci di quel tempo: che appena arrivato a Vienna si diede per festeggiare la sua venuta una sontuosa Accademia nelle sale del principe Estheray e pochi giorni dopo una splendida serata musicale nel palazzo del Principe di Metternik; che presentatosi a Corte, l'Imperatore e L'imperatrice lo colmarono di cortesie e di felicitazioni per l'esito della Linda e del Don Pasquale a Parigi; che la massima parte dei Principi della Casa Imperiale vollero vederlo e stringergli la mano; che infine una vera folla di maestri e di artisti, fra i quali si distinguevano la più spiccate celebrità del Teatro Italiano e del Teatro Tedesco, gli volle dare il benvenuto con un ricchissimo dono..."

 

***

E con questo parmi d'avervi parlato abbastanza del Don Pasquale. - Mi resta ancora a parlarvi dell'esecuzione al nostro teatro, e me ne sbrigherò con poche parole. È indubitabile che il Don Pasquale, più di qualunque altra opera, richiede un'esecuzione perfetta... Essendo tutto lo spartito appoggiato su quattro soli personaggi eminentemente comici, ne viene di conseguenza che non basta il solo canto negli artisti, ma si richiede spigliatezza, brio, e quel talento artistico senza il quale la commedia cade, o perde del suo effetto. - Nulladimeno bisogna convenire che, venendo lo spettacolo interpretato dai migliori nostri quattro artisti, il Don Pasquale è lodevolmente rappresentato, e il pubblico ogni sera è largo d'applausi e chiama all'onore della ribalta la simpatica e furbetta Desserini­-moglie, il grazioso Desserini-marito, lo spigliato Braghi, e l'appassionato Leli. Bene il coro, degna di encomio l'orchestra. E per oggi faccio punto, riservandomi a far quattro chiacchiere quando andrà in scena la seconda coppia dei Promessi Sposi - quelli di Ponchielli.

Actos

 
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